martedì 19 agosto 2014

Nuovo cinema Obongo

Obongo sta da tempo cercando di concupire il cuore di un’obonga, anche perché la strada verso il cuore della donzella dall’esterno sembra molto soffice ed invitante.
Da buon ventenne in preda ai suoi ormoni è pronto a qualsiasi cosa pur di arrivare al suo obiettivo con un’insistenza inversamente proporzionale alla dignità.
Attraverso un’obonga comune viene a sapere che le due vorrebbero andare al cinema a vedere un certo film e lui prontamente organizza un’uscita a quattro con l’amico sacrificale di turno, per l’occasione il buon Obongioni.
Obongioni ovviamente accetta, anche lui abbagliato dalla prospettiva di passare la serata in compagnia di due belle obonghe, e chiede: “Cosa andiamo a vedere di bello?”
Obongo in realtà non ne ha la benché minima idea in quanto, rapito dall’entusiasmo per l’incombente occasione, non ha prestato attenzione al titolo del film.
-  “Eh, non mi ricordo il titolo… l’astronave aliena, l’alieno interplanetario, una cosa così.”
- “Roba di extra-terrestri, figo! Poi arriva uno, li ammazza tutti e salva la terra?”
- “Boh c’è quell’attore che era anche in quel film con quell’attrice, quella bionda… Cosa… Come si chiama… Cosa Johnson”
- “Tette se ne vedono?”
- “Speriamo”

Trattavasi in realtà di “L’abitudinario alienato da se stesso”, la parte conclusiva della trilogia sull’abbandono delle civiltà rurali del grande maestro russo Valium Soporiferov.
Tre ore e un quarto di pura cinematografia minimalista.
Le obonghe erano espertissime cinefile.
I due amiconi arrivano sapendo ben poco del film, della trilogia e del grande maestro e comunque contenti di portare al cinema due belle ragazze; metti che la serata prenda una svolta interessante e nel frattempo il film sia pure bello?
Il primo segnale di avere azzardato una previsione decisamente ottimistica arriva all’ingresso in sala, dove si contano esattamente quattro spettatori: loro.
Nell’attesa dell’inizio del film, c’è ancora tempo per Obongo ed Obongioni per impressionare le obonghe con qualche brillante battuta del loro repertorio; tipo cosa si ottiene avvicinando un cetriolo a due pomodori e altri squallidi rimandi ad un’inesistente collezione di farfalle.

Il film inizia.
O meglio, le immagini iniziano: i dialoghi seguono con un ritardo di circa venti minuti.
Sempre che la parola “no” pronunciata dall’attrice guardando un campo di grano, possa essere considerata un dialogo. Il campo di grano non reagisce, anche se il regista qualcosa doveva pure aspettarsi dalle spighe dorate poiché la sua telecamera si sofferma per quattro interminabili minuti in attesa di una risposta che non arriverà mai.
I due amici perplessi scambiano arguti commenti:
-  "Ma non parlano?"
- "Forse i protagonisti sono muti…"
- "Ma l’alieno quando arriva?"
- "Boh, magari atterra sul campo di gran…"
- "SHHHH!"
Vengono ripresi come due bambini che hanno appena rubato il barattolo della marmellata da una contrariata obonga, la quale non tollera di essere disturbata proprio mentre si gode la monumentale scena del rubinetto che perde.
Pensando che la posta in gioco sia ancora alta, Obongo si scusa e scarica vigliaccamente la colpa su Obongioni, aggiungendo un commento piccato in direzione dell’amico “dai… ma non hai un po’ di sensibilità? Il rubinetto… la goccia… su, un po’ di silenzio… lasciami seguire.”

Altri scampoli di altissimo cinema si susseguono e i due amici, pezzo dopo pezzo, sentono sgretolarsi la loro resistenza: l’uomo che cammina sulla spiaggia da solo in inverno (con i flashback di quando camminava da solo sulla spiaggia in autunno, in estate e in primavera), il primo piano in bianco e nero della bisnonna morta, le ombre dei monti proiettate sulla valle con il lago secco e via dicendo a colpi di non meno di dieci minuti ad inquadratura, dove Soporiferov, conosciuto nell’ambiente come “l’indugiante”, dà sfogo a tutta la sua creatività.  
Qualche altro commento salace e qualche altro “Shhhh” dopo, i due sono al capolinea ed il colpo di grazia giunge attraverso i rarefatti dialoghi che fanno la loro comparsa all’improvviso.

Il pastore sussurra alla mugnaia: “Vivo di attimi fragranti e di intensità perdute” (*)
Le obonghe si stringono le spalle con le mani e con le facce contratte in una smorfia di emozione empatica, emettono sincrone un “Oooohhhh” di sentita e addolorata partecipazione.
Obongo ed Obongioni si guardano con le mani sulla testa e con le facce contratte in una smorfia prodotta da una risata che si va formando inarrestabile, emettono sincroni un “Oooohhhh” di scherno totale.
La mugnaia replica al pastore: “Sarebbe bello se il ciliegio potesse mangiare le ciliegie” (*)
Le lacrime solcano il viso delle commosse obonghe completamente rapite dall’arte del russo.
Molte lacrime solcano il viso dei due amici che prorompono in una risata liberatoria, dando sfogo a quanto avevano accumulato nelle ore precedenti, in preda a vere e proprie convulsioni che perdurano per tutti e quindici i minuti seguenti, nei quali purtroppo si perdono la scena del gatto grigio che dorme.

Obongo ed Obongioni proseguirono la serata da soli, raccontandosi divertenti battutine su cetrioli e pomodori; le due obonghe decisero che d’ora in poi a vedere Soporiferov ci sarebbero andate da sole.
Soporiferov fu soddisfatto dei sorprendenti incassi di “L’abitudinario alienato da se stesso” che aveva guadagnato al botteghino il doppio di tutti i suoi precedenti film.

(*) Una sola di queste due citazioni è vera ed è tratta dal film che ha ispirato questa storia.

Illustrazione originale di Uros Savić per Obongo 

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