venerdì 26 agosto 2016

Quasi Venezia

Obongo e Obonga sul divano.
Il dopo cena ideale dei due, che amano rilassarsi guardando un film insieme prima di andare a dormire.
Il film della serata parla del Camino di Santiago e, anche se emozionante e ben recitato, nulla può contro la stanchezza di Obonga.
Obongo la coccola e quando capisce che sta per addormentarsi si diverte a farle il test di resistenza, sventolandole una mano di fronte agli occhi: quando non ci sono più proteste sa che la moglie sta ronfando.
Questa cosa a Obonga non piace tanto, ma non può farci granché; dopo un paio di rimostranze “sto guardando”, “ho seguito”, “sì, sì, sono sveglia”, alla fine gli occhi diventano troppo pesanti e puntualmente fallisce il test.
E così mentre una comitiva di pellegrini si avventura a piedi per la Spagna, Obonga ormai dormicchia comodamente appisolata sul fianco del marito, che si accinge a finire di vedere il film da solo.

Quando accade.

Senza bisogno di alcun test, Obonga ha un sussulto, apre gli occhi e scarta in avanti, punta il dito verso lo schermo e commenta: “Venezia!”
Poi così come si era rianimata, si accuccia di nuovo tra marito e cuscino e riprende il suo sonno.
Ad un sorpreso quanto divertito Obongo non resta che chiedersi quale strampalato meccanismo abbia fatto scattare questa inattesa reazione direttamente dalla fase REM.
Ricordiamo se mai ce ne fosse bisogno che Venezia si trova sul camino di Santiago tanto quanto Timbuktu o la stella Sirio.
Per altro la piazza di Pamplona, capace di tale prodigioso sussulto, condivide con Venezia si e no qualche piccione. Per il resto, zero gondole, zero acqua, zero ponti.
Non pervenuto neanche un improbabile “El campanil de saint Marc” che avrebbe reso la situazione un po’ meno inverosimile.
Obongo finisce di guardare il film ed il giorno dopo racconta il tutto alla moglie non perdendo occasione per stuzzicarla.
- Avresti potuto dire anche “protozoo”, “cartapesta” o “zumba”! Cosa cavolo c’entrava Venezia?
- Ma si vede che stavo sognando, non mi ricordo… 
- Ma possibile? Così diverse le città, così fuori tema col film.
- Ma che ne so! E’ così importante? Forse sognavo…
La matematica mente di Obongo non si dà pace per l’assurda associazione di idee.
La conversazione sfuma.

Altra serata, altro film. Altro test di resistenza, altro sonno di Obonga.
Il film è una storia romantica e ad un certo punto i due protagonisti sfogano la loro passione, in maniera neanche tanto velata. Insomma ci danno dentro di brutto.
E tra un “ahhh” e un “ohh” risuccede.
Obonga si rianima, punta il dito verso lo schermo ed esclama: “Marco”!
E così come nel caso Venezia, torna a sprofondare nel suo sonno pacifico.
Seguono trenta lunghissimi secondi, in cui un per niente divertito Obongo, che sa bene di non chiamarsi Marco, vaglia con la sua mente matematica tutta una serie di orripilanti possibilità.
Quando dal cantuccio fra fianco e cuscino, sente la moglie sussurrargli con voce beffarda: “Meglio Venezia, eh?”


Un suggestivo scorcio di Pamplezia

lunedì 22 agosto 2016

Cannibali

Sono riuscito a scappare.
Sono capitato fra di loro per caso, perdendomi nella giungla.
Una volta lì non sapevo più cosa fare; avevano un aspetto minaccioso e ho cercato di mantenere la calma per non contrariarli.
Sono stato fortunato.
Potevo non essere qui a raccontare questa storia.
Erano sempre in due; non saprò mai i loro nomi, non capivo cosa si dicessero nella loro lingua primordiale.
Vedevo solo gli strani segni che facevano con le mani e le loro risate di compiacimento.
Ho dovuto sottopormi a tutti i loro strambi rituali; essere accondiscendente in tutto e per tutto, per salvarmi la vita.
Mi hanno fatto adorare i totem delle loro strampalate divinità e mangiare il loro cibo fatto di insetti crudi e foglie di ortica e ho dovuto perfino fare la doccia nel guano come segno di riconoscenza.
Ma il momento peggiore è stato quando hanno portato il pentolone con l’acqua dentro e mi hanno fatto accendere il fuoco.
A quel punto ho capito che non avevo un attimo da perdere.
Si sono distratti mentre ridevano sguaiati emettendo un sinistro sibilo gutturale, forse un’antica tradizione che prelude al pasto cannibale.
Sono corso via, più veloce che potevo, senza guardarmi indietro.
Sono riuscito a scappare.
Sono stato fortunato.
Potevo non essere qui a raccontare questa storia.

- Questo era proprio spaventato, vero Obongo?
- Ah, ah, hai proprio ragione Ubungu.
- Certo che anche tu ci sei andato pesante eh… Il pentolone, dai!
- E va beh, senti chi parla. Dopo che hai fatto venti punti convincendolo a fare la doccia nel guano cosa potevo fare. Il pentolone era l’unica scelta.
- E gli hai fatto anche accendere il fuoco, sei proprio un pirla!
- L’hai vista la faccia?
- Sì, sì, ho visto anche la chiazza nei pantaloni!
- Questi turisti del villaggio vacanze sono una manna dal cielo, ogni giorno ne arriva uno.
- Non mi stancherò mai.
Comunque dobbiamo rivedere i punteggi. Non mi sta bene che gli faccio mangiare tre etti di cimici e faccio solo un punto a etto.
- No, scusa: vuoi mettere con le preghiere al totem? Sai quanto mi ci vuole per raccogliere vecchi transistor, intagliare il baobab per fare la croce e coprire tutto con ghirlande di denti di capra? Di cimici è pieno questo posto! Scusa ma mi tengo stretti i miei punti.
- Va beh… Alla fine come è andata oggi?
- Hai vinto tu col pentolone in recupero; se l’è fatta nei pantaloni, quindi sono due punti di bonus.
- Peccato sia andato via così presto, mi giocavo tutto con la mela in bocca e lo spiedo.
- Tienili per domani.
- Ah, un’ultima cosa. Quando mi parli in dialetto non dirmi fesserie per farmi ridere apposta. Avevamo detto che non valeva.
- Lo so, lo so, ma è più forte di me. Quando ridi forte tiri fuori quel verso che mi fa scompisciare.
- Dai, nel frattempo l’acqua nel pentolone sta bollendo.
- Metti il sale che butto la pasta.
- Sono avanzate un po’ di cimici; proteine?
- Scemo.