martedì 30 settembre 2014

Lampade: istruzioni per l’uso.

Dedicata a tutti quelli che, almeno una volta nella vita in preda alla noia, hanno seguito i consigli del genio Frizzantone.

È un noiosissimo pomeriggio d’estate.
Uno di quei giorni dove le lancette dell’orologio sembrano ferme, o addirittura girare nel verso sbagliato.
Dopo grandi mangiate, qualche comparsata in spiaggia, parole crociate, dormite fino a tardi e opportune dosi di dolce far niente, caldo e noia stanno massacrando Obongo.
Gira e rigira per la casa senza pace, in cerca di qualcosa per tenersi occupato, quando la sua attenzione viene attirata da una misteriosa lampada che qualcuno ha lasciato sul tavolo.
Obongo la osserva e, come nella miglior tradizione, la sfrega.
PATAFF
Un misterioso essere esce fuori dalla lampada, in una nuvoletta dal colore brillante.
“Ciao, sono il genio Frizzantone, creo idee a profusione! Che cosa posso fare, per non farti annoiare?”
“E come fai a sapere che sono annoiato?”
“Beh, altrimenti non perderesti il tuo tempo a sfregare una lampada, no? Le lampade si accendono, mica si sfregano, cacchio!”
“Già, non hai tutti i torti. Ebbene sì, genio: sono annoiato. Qualche idea su come ammazzare il tempo?”
“Allora, fammi dare un’occhiata: cielo terso, sole splendente, panorama mozzafiato, come fisico mi pare che ci siamo. Qualche chilometro in bici è quello che ci vuole, esci e vai a fare una bella sgambata”.
“Un po’ di sport! Come ho fatto a non pensarci! Grazie genio Frizzantone, ottima idea. Vado subito!”

Obongo inforca il sellino della mountain bike e si allontana da casa, dirigendosi verso il lungomare.
Il lungomare però è della lunghezza giusta per fare due passi, non certo per una sgambata in bici che si consuma troppo rapidamente.
“Ma sì, con questo bel sole arrivo fino alla scogliera”.
Punta quindi verso sud e si addentra pedalando con vigore nello sterrato sopra l’aspra scogliera che si estende per un paio di chilometri.
Si gode il meraviglioso panorama dei flutti cristallini che frangono sotto il sole che scalda ma non cuoce e al termine della scogliera decide che ha consumato esattamente metà delle energie che intende dedicare a questo estemporaneo divertissement.
Al termine della scogliera c’è una bella spiaggia, un riposino di qualche minuto ed Obongo è pronto per tornare indietro, contento di avere impiegato bene il suo tempo e di aver sconfitto la noia.
[Il genio Frizzantone non sbaglia un colpo]
Decide però di non tornare da dove è venuto per evitare il terreno scosceso e di affidarsi invece alla strada provinciale che si trova solo qualche chilometro più in là.
Fa due rapidi conti e pensa che grazie alla mulattiera che corre dalla spiaggia verso l’entroterra in pochi minuti intercetterà la provinciale e percorrerà quindi una distanza quasi identica a quella del viaggio di andata, solo sul comodo asfalto anziché tra sassi, rovi e buche.
Idea saggia, ma sfortunatamente inficiata da un madornale errore di valutazione.
[Il genio Frizzantone dà consigli, non mappe]
La mulattiera si addentra nell’entroterra ma in direzione sud pure lei e non verso est; ergo Obongo continua a pedalare nella stessa direzione di prima e nel tentativo di imboccare la provinciale si allontana ulteriormente da casa anziché avvicinarsi.
Per farla breve: Obongo si perde in mezzo a sassi, rovi e buche peggiori di quelli dell’andata.
Quando un pezzo di civiltà gli dà il bentornato, sotto forma di strada provinciale asfaltata, un cartello segnaletico conferma i suoi timori. A causa di un senso dell’orientamento approssimativo e di un’inaffidabile mulattiera che prende iniziative dirigendosi dove cavolo le pare, Obongo dopo quasi due ore di pedalata si trova a circa 20 km da casa; fa in tempo a tirare una maledizione adeguata alle circostanze, prima di notare delle nuvole nere e basse, che pochi minuti fa non c’erano.
Nel bel mezzo di agosto, come una punizione divina per essersi addentrato in un terreno a lui sconosciuto ed avere abbandonato la noiosa ma confortevole magione, si scatena il più classico dei temporali estivi.
La temperatura si abbassa di quindici gradi buoni nel giro di un nonnulla e sul ciclista già fortemente provato si abbattono ora lampi, tuoni ed una quantità d’acqua che sembra pescata direttamente dal mare e riversata sulla sua testa da un secchiello gigante. 
[Il genio Frizzantone crea idee non ombrelli]
Il riparo offerto dall’unico albero di una certa dimensione è poca cosa ed Obongo attende il placarsi degli elementi lì sotto, finendo comunque zuppo come uno straccio per lavare i pavimenti.
Ed in quelle condizioni riparte quando la pioggia cessa.
Mentre sente il naso e le orecchie tapparsi, per via della violenta e improvvisa infreddatura, borbotta fra sé e sé: “Vabbè, peggio di così non può andare”.
Di diverso avviso sono però il camion che trasporta sterco e la grossa buca piazzata al centro della strada poco più avanti; combinando la loro presenza con quella del transitante Obongo, nello stesso punto allo stesso momento, insieme producono il sobbalzo necessario a far schizzare l’insulto finale verso lo spossato ciclista a chiusura della sua infelice impresa. 
[Il genio Frizzantone e le sue idee di merda]

Mezzo raffreddato, con un inizio di crampi, le piaghe nei piedi e maleodorante, Obongo conclude la sua avventura terminando la strada che lo riporta a casa sospingendo la bici con le mani.
Da questa inusuale giornata ha imparato che la noia non produce acido lattico, cattivi odori né tantomeno broncopolmoniti e, soprattutto, che le lampade si accendono e non si sfregano.
Per nessun motivo. 
Mai.


mercoledì 24 settembre 2014

Pinte e bicchieri

Obongo è italiano e sua moglie è irlandese.
I due tornano in Irlanda dopo una vacanza in Italia e si recano dalla famiglia di lei.
In particolare Obongo ha portato da casa un’eccezionale grappa centellinata da regalare al suocero, il vecchio O’bongs, amante di distillati e affini.
Trattandosi di un grande appassionato della qualità, ma anche e soprattutto della quantità, Obongo si preoccupa di donare la preziosa bottiglia insieme ad alcune importanti istruzioni per l’uso.
O’bongs è ben avvezzo al whiskey irlandese, che comunque, salvo rare eccezioni, ha una gradazione attorno ai “soli” 40 gradi e visto che sorseggiare superalcolici è una pratica abbastanza consolidata, non pensa che ci possano essere grossi problemi a bere la grappa nella stessa misura, con l’aggravante che è trasparente e sembra acqua di fonte.
La grappa in questione però ha una gradazione alcoolica di circa 60 gradi ed Obongo suggerisce caldamente che venga consumata in piccolissime dosi, onde evitare problemi.
Se questo consiglio può sembrare superfluo a chi legge, basti pensare che in Irlanda non è possibile acquistare l'alcool, puro o etilico, nei supermercati: alcuni sconsiderati avventori lo compravano infatti per berselo, con conseguenze tutto sommato divertenti per l’osservatore occasionale, ma perentoriamente definitive per i loro fegati ed altri organi vitali coinvolti.

– “Prendo una pinta?”
– “No, signor O’bongs, una pinta è decisamente troppo”
– “Ma sei sicuro? Sembra acqua, una pinta è la quantità giusta”
– “Glielo garantisco, una pinta di grappa è troppo; basta un bicchierino”
– “Vuoi farmi bere come una femmina? Dai basta scherzare, prendo una pinta”
– “Non sto scherzando, mi creda: basta un bicchierino”
– “Io non ho bicchierini per i miei drink, solo pinte e bicchieri”
– “Allora un bicchiere, ma giusto un dito”
– “Sì, un dito, ma messo per così” [punta l’indice sul tavolo e ridacchia a voce alta]

Le timide rimostranze di Obongo si fermano là dove inizia il rispetto per la persona più anziana ed il bicchiere viene riempito per intero di grappa liscia.
E per quanto irlandese e ferratissimo in materia di superalcolici, O’bongs cade vittima della poderosa bevanda, distillata da qualche eremita annoiato che non aveva di meglio da fare che coniugare diabolicamente spirito ed erbe di montagna; molto del primo e giusto un accenno delle seconde.
Due giorni dopo un’orribile alternanza di mal di pancia e vomiti, O’bongs si ristabilisce e, bottiglia in mano, si confronta con Obongo.

– “Questa grappa è andata a male”
– “Ma no, è buona glielo assicuro, solo che va bevuta nella quantità giusta, l’avevo avvisata”

O’bongs, memore della conversazione avuta in precedenza, si ferma a riflettere un momento.
Obongo lo guarda e sta per rinforzare la sua teoria, quando O’bongs chiosa: “Hai ragione, è la quantità che non va bene”
Obongo annuisce con un sorriso benevolo, contento di avere portato alla ragione il testardo suocero.

O’bongs conclude: “Non berrò mai più come una femmina; ci voleva una pinta!”


giovedì 11 settembre 2014

La ferrea coerenza dell’albero umbro

Obongo è in vacanza in Umbria ospite da un amico.
L’atmosfera cordiale e la bellezza del territorio sono una cornice perfetta per la sera prima della partenza, che Obongo e i suoi ospiti decidono di passare all'insegna della buona cucina.
Si dirigono presso un ristorante tipico situato su una collina in campagna, mangiano divinamente e, satolli e contenti, affrontano la via del ritorno.

La strada è una provinciale immersa nel verde, molto panoramica e al contempo stretta e piena di tornanti che collega la sommità collinare con il paese sottostante; tutto sommato sicura se la si percorre a velocità opportuna.
A quanto pare è anche un percorso molto battuto dai motociclisti in cerca di emozioni forti, che amano invece affrontarla come se fossero in pista. Almeno questo è il punto sollevato dall'amico Obonghizia il quale spiega ad Obongo che i centauri vengono giù troppo veloci, incuranti del pericolo e che alcuni finiscono fuori strada ferendosi in maniera più o meno seria.

“Ogni tanto qualcuno si fa pure parecchio male, sai”
“Posso immaginare; la strada è molto stretta, non ci sono spazi di fuga”
“Eh sai qual è il problema Obongo?”
“La velocità?”
“Eh no”
“Il manto stradale?”
“Eh no”

Il problema non erano neanche le curve, la manutenzione, la strada stretta, il guard-rail, le condizioni meteo, la segnaletica scarsa, le gomme invernali, l’alcool, le gare illegali, gli animali che attraversavano all'improvviso o i pochi controlli della polizia.
Obonghizia mi spiegò nella sua parlata umbra: “Il problema, caro Obongo, è che l’alberi ‘en tanto belli, te fan tanta ombra, ma c’han sto difetto: n’se spostano mica, sai” [gli alberi sono tanto belli, ti fanno tanta ombra, ma hanno questo difetto: non si spostano]

Apparentemente l’albero umbro ha una condotta molto ferrea che lo porta a relazionarsi in maniera conflittuale con l’essere umano intento a condurre un veicolo su due ruote; indipendentemente che si tratti di un bimbo in bicicletta o di un motociclista temerario (scemo?) lanciato a 180 km/h, in caso di rotta di collisione, il grosso vegetale non abbandona mai la sua posizione.

Con pazienza certosina, noi di Obongo abbiamo ricostruito una conversazione intercorsa qualche tempo fa fra una betulla sita in prossimità di una curva ed un motociclista particolarmente veloce, incontratisi sul tracciato in questione.

M: “Spostati, spostati, su alberello caro, lasciami passare”
B: “No, non se ne parla proprio”
M: “Dai, spostati per favore gentile betulla, ho un problema con la tenuta di strada”
B: “No, mi spiace. Guarda, sono brava, buona, paziente e faccio tanti bei fiori; hai trovato l’unico difetto che ho, non mi sposto mai, e quando dico mai intendo mai. Per nessuno e per nessun motivo”
M: “E dai, ho un problema serio, non so se riesco a frenare in tempo”
B: “Guarda se vuoi ammirare la mia naturale bellezza, l’imponenza del tronco, le rigogliose foglie, i fitti rami e finanche il mio nome botanico in latino, bene: ma di spostarmi proprio no, non mi va”
M: “Scusa se insisto, ma ho pochi secondi e poi sono dolori: ho anche famiglia, SPOSTATI TI PREGO!”
B: “Ombra? Vuoi un po’ d’ombra? Anche tanta ombra, se necessario. Ho fresche frasche da vendere, con l’ombra posso abbondare, ma non muovo manco una radice ed è inutile che chiedi all'olmo e o alla quercia qui vicino perché è un difetto diffuso da queste parti, non si sposta mai nessuno. Spero sia chiaro il concetto che…”

SPATROSH – CLING – SBIRIBING – CRASH – SBIRIBENG

Il motociclista accartocciato ebbe modo di apprezzare la ferrea coerenza dell’albero umbro, che non si era mosso come largamente annunciato, ma stava estendendo generosamente la sua fresca ombra su tutte le sue fratture scomposte.


lunedì 8 settembre 2014

Sessantaseiesima

Giochi di società fra ragazzi.
Strumento di diletto che può trasformarsi in strumento di dileggio, se orchestrato dalle menti di adolescenti diabolici e poco politicamente corretti o, in una parola, stronzi.

Obongo organizza una serata fra amici.
Nel gruppo anche Obonga, l’amica di un’amica, che per la prima volta si unisce alla combriccola.
Obonga ha un lieve difetto di pronuncia, una cosa da poco e le sue esse risultano un po’ lunghe e fischiettanti; in realtà nessuno ci fa caso più di tanto, almeno fino a che non arriva il momento di scegliere un gioco da fare tutti insieme.
Ora, per il dovere di cronaca, ci sarà la necessità di riportare stralci di frasi pronunciate dalla sibilante amica: non staremo ad indicarle con “fh”, “ffss”, “shhh” o analoghi dittonghi sostitutivi, non tanto per premura di cadere nel ridicolo, quanto perché nessuna combinazione di lettere rende giustizia alle esse di Obonga, dei piccoli delicati sifoni liberati nell’aere.
Si opta per un particolare passatempo dove i giocatori sono chiamati a scrivere delle frasi su bigliettini di carta e dove, ogni giocatore, al proprio turno, legge quanto gli altri hanno scritto.
A turno.
Ergo, anche ad Obonga tocca leggere.
E quando il suo turno arriva, il difettuccio fino allora passato inosservato, inevitabilmente si palesa in tutto il suo buffo potenziale.
Obonga legge una delle frasi scritte da uno dei giocatori, che si conclude con: “… e S’aSSopì Sotto il Sole”.
Una cosa è chiacchierare del più e del meno con il brusio delle voci altrui e della musica come sottofondo, un’altra è declamare una frase, anche semplice, nel silenzio assoluto, con tutti che ti ascoltano.
Le inusuali esse vengono amplificate a dismisura dal silenzio ed un rapido sguardo malizioso corre come un lampo, di volto in volto, fra Obongo ed i suoi amici.
La bomba ad orologeria è innescata e c’è solo da aspettare il turno seguente per attendere che esploda in tutto il suo delirio.
Giunge quindi il fatidico momento ed il primo segnale che qualcosa sta per accadere è l’interminabile tempo che la malvagia cricca impiega a scrivere le frasi, ovviamente congegnate per la grande occasione; fanno la loro comparsa le prime risatine degli infingardi scrittori che già si pregustano la scena.
“Ma coSa c’è? Come mai ci State mettendo tutto queSto tempo? Dai Su Sbrigatevi, Sto aSpettando.”
Ormai ogni S è come un invito a delinquere, un manifesto alla crudeltà gratuita; le risatine aumentano, anche se ancora limitate da pallidi tentativi di contegno.
Tutto è pronto.
Obonga colleziona i bigliettini manoscritti e comincia a leggere: la giostra si mette in moto.
“L’aSSaSSino ScorSe il Segnale e toSto aSSeSStò una SaSSata a SuSanna.”
L’intensità delle risate raddoppia; il processo è irreversibile.
“Il SuSSeguirSi di SoSpetti Si intenSificò aSSai e Senza SoSta.”
Ormai sono risate a tutto tondo: grasse persino.
"Che coSa c'è ridere, non capiSco?”
Ogni nuova esse è come benzina sul fuoco, qualcuno rotola giù dalla sedia.
“Ma è aSSurdo, volete Spiegarmi coSa Sta Succedendo?”
Pandemonio.
"Siete proprio Strani".
...

Ci volle un quarto d’ora buono per placare gli animi e perché Obonga terminasse di leggere altre due frasi per un totale di dieci parole.
Al giro dopo, ignorando in pieno la buona norma per cui un bel gioco dura poco, i nostri sono nuovamente impegnati a far proliferare le esse nei loro manoscritti attraverso parole come “grossissimissimo” e “assortissero” o conficcandole senza ritegno dentro parole inventate ad hoc per la continuazione del piano criminale, come “ansiosistemistico” e “insistissimamente”.
Obonga raccoglie i bigliettini, i risolini si placano in attesa della nuova raffica, quando con un’aria sconsolata esclama: “ScuSate, ma non So Se mi va di giocare ancora”.

Ecco la mazzata.
Bambinetti impertinenti richiamati ad un minimo di decenza.
Le facce fra il penitente e l’imbarazzato si moltiplicano: ora Obongo ed i suoi amici abbassano lo sguardo, sentendosi male per avere abusato delle esse di Obonga.
Si sarebbe potuto asserire che essi non fossero così insensibili, anche se questa scelta di parole avrebbe creato ulteriori problemi nel caso in questione.
Obongo sta per prendere il coraggio a due mani e scusarsi a nome di tutti, quando Obonga parla di nuovo: “ScuSatemi davvero, ma queSto gioco non fa per me… e poi mi capitano Sempre fraSi con un Sacco di eSSe… Sono troppo Sfigata”.

Già; una sfiga ossessionante e anche un po’ sessantaseiesima.