giovedì 12 maggio 2011

Lost in translescion

Parassiti assatanati
A tavola a casa dell'amico Obongo siedono amici e parenti e la sua fidanzata spagnola Obonghiña.
I fantastici bucatini all'amatriciana sono il perfetto condimento di un caldo pomeriggio primaverile romano.
I commensali ridono e scherzano e conversano del più e del meno.
Il pranzo termina, la tavola viene sparecchiata e Obonghiña si offre per lavare i piatti.
Chiaramente Obongo le dice di non preoccuparsi, da perfetto ospite e galantuomo italiano.
Obonghiña timidamente protesta nel suo italiano spagnoleggiante, muy caliente ma ancora un po' stentato:
"Ma dai, lassame lavare i piati! Fami fare hualchecossa"
"No, non preoccuparti cara. Grazie, ci penso io dopo."
"Ma non me fai mai farre niennte. Jo vengo siempre a mangiare qui a cassa tua e non poso neanche aiuttare un poqo"
"Cara, davvero non c'è bisogno..."
"Uffi... Mi fai sentire come... Como se dize... Una succhiante! Ecco, mi sento una succhiante!"
Obongo ed il resto dei commensali, come vere e proprie sanguisughe, si attaccarono alla maldestra traduzione per sbellicarsi dalle risate mentre la povera Obonghiña intuiva che aveva ancora molto da approfondire sul tema "Parassiti e sesso orale nelle figure retoriche dell'italiano moderno".

Oggetto volante non identificato.
Obongo e sua moglie Obongjija si sono appena trasferiti in Italia, dove la signora proveniente dalla Serbia sta, giorno dopo giorno e con invidiabile rapidità, migliorando le sue conoscenze linguistiche.
La parlata fluente è ancora lontana, ma il lessico migliora sempre più, vocabolo dopo vocabolo.
A casa degli amici Obongassa, una sera, Obongjija si intrattiene a giocare un po' col piccolo Obonghino.
Dalla montagna di giocattoli sbuca fuori un trenino.
"Questo è treno?" chiede Obongjija a Obongo prima di continuare a giocare con Obonghino.
"Si" conferma premuroso il marito.
E' poi la volta di un galeone dei pirati.
"Come si chiama grande nave?" chiede Obongjija con grande curiosità.
"Galeone dei pirati" risponde puntuale Obongo.
"Ah, galeone dei pirati" e via il gioco con Obonghino riprende.
Ecco che arriva il momento di un mostruoso pipistrello di plastica, che Obonghino passa ad Obongjija.
Obongjija osserva il pipistrello.
Il pipistrello osserva Obongjija.
Obonjija chiede ad Obongo:
"Questo si chiama pompinello?"
La risposta fu "no" anche se per un attimo l'alternativa "dipende dall'uso che se ne fa" sembrò accettabile al divertito Obongo.

Offrile qualcosa di estremo.
Un ritrovo a casa di Ziubongo tornato da poco dagli Stati Uniti con alcuni amici ed amiche per trascorrere le vacanze estive.
Un po' perchè gli statunitensi non capitano tutti i giorni da quelle parti, un po' perchè l'ospitalità e la cortesia scorrono nelle vene dei sardi, tutti sono gentili e cercano di fare un po' di conversazione con gli ospiti stranieri, incluso Obongo la cui padronanza della lingua inglese rasenta il ridicolo.
Tra una pizza ed una bevanda, un "uazziorneim" ed un "ai don spichinglisc veri uel", la serata prosegue amena senza particolari intoppi.
Ad un certo punto Obongo nota il bicchiere vuoto della spaesata Obongrace e capisce che la ragazza ha sete.
"Ugiulaik som bir (Would you like some beer)" chiede Obongo alla meno peggio.
"No thanks, I don't drink beer" replica Obongrace con un sorriso.
"Coca cola" chiede Obongo non sapendo neanche tradurre Coca Cola in inglese ed indicando col dito la bottiglia.
"No thanks" replica nuovamente Obongrace che però dava chiaramente la sensazione di essere assetata.
Giunto al termine delle frasi conosciute e vedendo che riusciva tutto sommato a farsi capire, Obongo decide di addentrarsi nel territorio della traduzione estemporanea, forse aiutato anche dalla suddetta "bir" da lui bevuta, invece, in abbondante quantità.
Pensa tra sé e sé, mentre adocchia la caraffa del succo d'arancia: "Aranciata... mmm si può anche dire succo d'arancia!.. mmm... Succo... gius (juice), si dice gius, la so! Arancia, si dice oreing, iureing, aiureing (orange)... una cosa così... dai, la so!".
E mentre la regina di Inghilterra inspiegabilmente si accasciava a terra colta da un misterioso malore, Obongo formulò la sua formidabile domanda di cortesia: "ugiulaik som iuringius (Would you like some urin juice)?"
Il perchè Obongrace e a seguire tutti i presenti scoppiarono a ridere in preda a spasmi irrefrenabili sembrava ad Obongo un mistero, quello che mai come in quel momento, si sarebbe potuto definire, un giallo internazionale.


venerdì 14 gennaio 2011

Il granchio Dino


Questa è la storia del granchio Dino e dei suoi amici che abitano nel Granchenion.
Un giorno Dino si svegliò in preda ad una curiosa sensazione mai provata prima. Pensò allora di parlarne con il suo amico Satore, si sgranchì le gambe ed uscì. Dopo molte annotazioni e commenti il granchio Satore gli rivelò che il suo turbamento dipendeva dall'essere entrato nella stagione degli amori.
"Ho un paio di amiche che farebbero al tuo caso" suggerì Satore.
"A chi stai pensando" chiese interessato Dino.
"Così su otto zampe mi vengono in mente un paio di nomi... Pona o Vata per esempio".
"Non saprei, la Granchia Pona non mi è mai piaciuta... Però Vata..." replicò Dino arrossendo un po'.
"Beh non è un'impresa semplice; è una delle granchie più carine e ha molti ammiratori".
"Già, hai ragione... Chele potrei dare io di speciale?" disse Dino sfiduciato.
"Non disperare. Prova a parlare con Roveggente e senti cosa ti riserva il futuro, magari esiste una possibilità."

Si congedarono e Dino uscì per strada. Si soffermò a guardare i giovani granchietti che giocavano allegri facendo un granchiasso e ripensò nostalgico a quando era giovane e spensierato, ovvero fino alla notte prima.

Scoraggiato e un po' spaventato dal responso che la granchia Roveggente avrebbe potuto dargli decise invece di cercare conforto spirituale e si recò quindi alla Gran Chiesa.
Il prete gli venne incontro con la sua pettinatura inconfondible.
"Padre granchio Mafolta, ho bisogno d'aiuto; credo di essere entrato nella stagione degli amori. Ho pulsioni irrefrenabili, ma non trovo una compagna, che posso fare?"
"Granchio Dino, nonostante le tue grosse potenzialità, vedo che soffri. Non c'è un rimedio, devi solo pazientare. L'unico consiglio che posso darti è di non commettere atti impuri, perchè ti faresti solo del male... ahem... ecco... diventeresti cieco."

Sempre più depresso e sconfortato Dino tornò in tana e quando fu notte cercò di addormentarsi, ma senza successo.
Il pensiero fisso della granchia Vata unito alle sue primordiali pulsioni gli impedivano di prendere sonno.
"Ho perduto la mia cara pace!" pensò mentre sentiva la sua corazza più dura del solito.
Improvvisamente cominciò a toccarsi in preda alla frenesia e realizzò che il granchio Mafolta non gli aveva detto tutta la verità.
Non era diventato affatto cieco; poteva infatti vedere benissimo tutto il male che si era fatto stringendo fra le chele il suo gran chiodino.