martedì 29 luglio 2014

… Connosci?

Notte d’estate, discoteca all’aperto in Sardegna.
Obongo e sua moglie Obongjija vanno a ballare al ritmo di tunz, tunz, tunz.

Fanno una piccola pausa per espletare un bisognino; Obongo finisce presto e osserva la sua bellissima consorte che pazientemente aspetta il proprio turno in fila di fronte alla toilette delle ragazze.
I due giocano a sorridersi e a fare facce buffe da qualche metro di distanza quando, ad un certo punto, vicino ad Obongjija si materializza un ragazzo palesemente a caccia.
Come avremo modo di appurare, un tipo dalla statura inversamente proporzionale all’autostima.
Obongo studia la situazione ma non interviene, trovando già divertente la scena dell’avvicinamento del piccoletto verso la moglie, per il semplice fatto che i capelli pieni di gel di lui svettino all’altezza dell’ascella di lei.
Parte l’intrepido latin lover per niente intimorito dalla differenza di altitudine; batte sulla spalla di Obongjija e attacca con un fantasioso approccio certamente studiato nei minimi particolari e perfezionato in anni ed anni di tentativi: “Cioè, ma tu non sei di qui?”
E bravo il nostro Obongaggio ed i suoi fluidi meccanismi deduttivi.
Il certosino osservatore locale ha una discreta esperienza in materia di centimetri e sa che le conterranee misurano mediamente un metro e sessanta e poco più, decisamente meno dei quasi due metri di Obongjija sui tacchi, e basandosi su questo sottilissimo indizio costruisce l’impalcatura per il suo incipit.
Un po’ come avvicinarsi ad un leone in un pollaio e chiedergli: “Cioè, ma tu non sai fare chicchirichì?”
Anche il processo mentale lascia spazio a degli interrogativi: avendo stabilito con margine di errore prossimo a zero che la preda non è locale, perché parlarle in italiano (e con un accento così forte da rasentare il dialetto)?
Sì, la verità è che le lingue non sono il forte del formidabile Casanova isolano, il quale però è pronto a regalarci una performance di alta classe in tutt’altro settore: la geografia.
Obongjija si stringe nelle spalle divertita e osserva Obongo, non sapendo bene cosa dire o fare.
Obongo inizia a ridacchiare facendole un cenno che va tutto bene.
Obongaggio incalza: “Ah, stranniera… e di dovve sei?”
Obongjija capisce e risponde: “Serbia.”
Obongaggio apre mentalmente l’atlante sulla cartina dell’Europa, reperisce l’informazione cercata e ne approfitta per appiccicarci un complimento fatto con il cuore: “Ah! Brattislavva, bellissima, ci sono statto. Veri biutiful ragazze.”
Obongjija non prova neanche ad articolare una risposta ad una frase che non ha capito bene e se la ride beata, tanto Obongaggio da quaranta centimetri più sotto vede e non vede.
Obongaggio però ha ancora svariate cartucce e soprattutto un cinturone foderato con una fiducia in se stesso assoluta quanto cieca, che gli impedisce di percepire il ridicolo della situazione e cercare fortuna altrove.
“Io (si batte il petto con un dito), VIL-LA-SAN-PIE-TRO (fa lo spelling per farsi capire bene)… Connosci?”
Obongjija è confusa: prima di venire in Italia ha studiato un po’ di geografia e conosce un buon numero delle città più importanti e delle località principali, ma per qualche oscura ragione proprio non conosce questa Villa San Pietro (circa 1,800 abitanti, ndr).
Obongjija, aggrottando le sopracciglia: “San Pietro casa di Papa?”
Obongaggio, prodigo di spiegazioni: “No, no… Villa San Pietro, doppo Sarroch (circa 5.200 abitanti, ndr)!”
Beh certo: se per sbaglio nessuno sa dove è Roccapuzzetta tu lo illumini con la preziosa informazione che si trova dietro Camposanfinferlo e lui subito capisce con precisione assoluta, soprattutto se proviene da Bratislava.
Del resto tu stesso hai una comprovata conoscenza geografica della Serbia tale da distinguere con esattezza la posizione di Pratobellovic da quella di Pratobellograd, anche se ancora ti sfugge il semplice dettaglio che non tutte le nazioni che cominciano per S condividono la stessa capitale.
A quel punto Obongo corre in soccorso di Obongjija salvandola da ulteriori conversazioni sulla geografia del posto e soprattutto, visto che stava ancora imparando l’italiano, dall’assorbire una pronuncia a dir poco approssimativa.

Obongaggio, invece, passa oltre e prosegue nella sua caccia grossa senza scomporsi più di tanto, approcciando un’altra tipa poco più in là, la quale però, anche ella non capisce: “Ah, stranniera… e di dovve sei?”
Tipa: "Slovakia”
Obongaggio: “Ah! Pragga, bellissima, ci sono statto. Veri biutiful ragazze.”


sabato 26 luglio 2014

L'assolo

Imbucarsi ad una festa può avere delle controindicazioni.
Questa è la storia di quando Obongo ed Obongao si sono imbucati alla festa di laurea di un'amica del cugino di secondo grado di un amico d'infanzia, sperimentando in prima persona quanto sopra.

Arrivati sul posto i due capiscono dopo pochi minuti che qualcosa non quadra.
La casa al mare ben tenuta, con piscina e prato inglese di proprietà della facoltosa famiglia nobile della festeggiata stride infatti con le figure che la popolano, le quali, di nobile o alla peggio di borghese o che dir si voglia fighetto non hanno proprio niente.
Trattasi di una gloriosa e variopinta accozzaglia di personaggi uniti dal denominatore comune dell’anticonformismo, palesato in maniera più o meno marcata: intellettualoidi barbuti fuori corso della facoltà di filosofia, vicesegretari di sezione del partito dei giovani amici del Kolkoz, esponenti di centri sociali di varia estrazione, sostenitori di BluePeace, suonatori di ukulele, giocolieri, chiromanti e mangiafuoco.
Obongo e Obongao si presentano in jeans e maglietta, un abbigliamento sufficiente a generare nei più il sospetto di trovarsi di fronte ad esemplari della nuova generazione borghese, così scevri delle essenziali conoscenze storico-politiche e della benché minima sensibilità artistica, unicamente dediti al più spensierato edonismo; ed in effetti i due si sono imbucati alla festa mossi da pensieri che poco hanno a che spartire con i temi esistenziali che si intavolano in quei contesti (uno spaccato della serata ideale di Obongo ed Obongao si può trovare qua). 
Ad ogni buon conto, dopo lo smarrimento iniziale, i due intrusi si buttano nella mischia, notando che anche tra le più assidue frequentatrici del circolo “Pane e Kant” la terza taglia non è poi così inusuale.
Un determinato Obongao punta subito in alto, approcciando dritto per dritto una delle ragazze più carine: una tipa che, purtroppo per lui, è tanto bella quanto colta e loquace.
Il dialogo, o meglio il monologo che ne scaturisce, è un bombardamento a tappeto sugli scottanti temi delle masse oppresse di qualche imprecisata regione dell’Amazzonia centrale, alla quale Obongao tiene testa eroicamente per più di mezz’ora blaterando frasi composte quasi esclusivamente dalle parole “foresta”, “piraña” e “Maracanà”, in tutte le loro possibili combinazioni.
Obongao capitola quando la tipa attacca a parlare del Chapas e lui, ormai stremato e a corto di risorse, risponde che gli piace un sacco ma preferisce i Tacos.
Obongo gioca invece le sue carte con una sedicente lettrice della mano, tra le poche ragazze presenti ad avere un bagaglio culturale abbastanza limitato per non intasare la conversazione con santuari delle balene o complotti giudaico-massonici. Dopo un promettente inizio però, la donzella rivolge le sue attenzioni verso un altro tipo: un ballerino cubano, ricercato politico e fuggito dalla patria in maniera rocambolesca su un cargo di banane, il quale a fine serata finirà per rivelarsi un tabaccaio barese, imbucatosi pure lui, tradito dall’accento spagnolo miseramente affogato nella vodka.
Oltre il suggestivo scenario della villa con piscina, la desolante serata ha come lato positivo una scorta pressoché illimitata di bevande alcoliche dalla quale Obongo ed Obongao attingono a mani piene.
L’ora tarda arriva e quasi senza accorgersene i due si ritrovano un po’ ebbri all’interno della villa insieme ai pochi altri ospiti rimasti; non ricordano come ci sono arrivati ma colgono l’occasione per fare un ultimo sforzo e provare a socializzare.
La serata ha preso una svolta musicale ma non c’è verso per i due di canticchiare qualche verso armonizzando con gli altri: le canzoni sono una selezione di inni bolscevichi o rare composizioni di artisti underground. Obongo tenta anche di imbracciare la chitarra per suonare qualche classico, una di quelle canzoni che tutti, ma proprio tutti hanno cantato almeno una volta ad un falò in spiaggia, ma viene gelato da sguardi incuriositi e richieste del tipo: la sai “Rivoluzione, fango e ortiche” di Leone Fricchiaboni?"
Non se ne esce: il divario è insormontabile, tanto più che ora alcuni ragazzi si sono messi a suonare insieme alla chitarra anche dei bonghi ed altri strumenti etnici mai visti, probabilmente recuperati in un mercatino delle pulci equo e solidale.

Obongo sconsolato solleva le spalle mentre guarda Obongao dall’altra parte della stanza e, complice il mix di alcool e frustrazione, finge per il suo amico di suonare una batteria che non c’è.
Obongao apprezza il gesto, ridacchia e si guarda intorno, alla ricerca di qualcosa da suonare pure lui per restituire il favore.
Obongo compiaciuto della sua trovata si rilassa, gira lo sguardo di nuovo verso i bonghisti, e poi di nuovo verso Obongao, per trovarlo completamente immerso in un poderoso assolo di termosifone.

martedì 22 luglio 2014

L'importante è non mischiare

Cena di Natale a casa Obonghini.
Si mangia e si beve in allegria e la serata procede fra aneddoti e ricordi, tipici delle riunioni di famiglia.

Dopo il dolce, arriva il momento dello champagne e papà Obongo va a prenderlo dal frigo.
Vista l'atmosfera gioviale, decide di organizzare su due piedi un bello scherzetto o almeno qualcosa che deve parergli tale.
Torna verso la tavola imbandita, brandendo lo champagne e scuotendo la bottiglia in direzione dei presenti, minacciando: "ora faccio il botto!"
Ovviamente non ha alcuna intenzione di impallinare i parenti ma l'effetto della sorpresa riesce e si scatena un piccolo parapiglia di mani protese di fronte alle facce, pronte a parare il proiettile di sughero, insieme ad un vociare scomposto di "noooo", "stai attento", "è pericoloso" e via dicendo.
Qualcuno scappa perfino via dalla stanza, nascondendosi dietro un angolo e strillando insulti sconnessi.
I più fifoni, direte voi; i più saggi, ci insegnerà la storia.

Una volta ottenuto l'effetto desiderato, papà Obongo torna nei ranghi, raddrizza l'improvvisato lanciarazzi punzecchiando benevolmente i presenti: "ma dai! ma ci avete creduto davvero? ma vi pare che vi sparerei il tappo addosso? ahaha (se la ride da solo)... ma per chi mi avete preso... ahahah (risatina bis)... mica sono matto!"
Passato il pericolo, i più si risiedono e, alla vista della sparatappi adesso orientata verso l'alto, si rilassano pronti per il brindisi.
"Certo che sei proprio scemo!" insiste mamma Obonga un po' urtata e ancora non del tutto tranquilla (lungimirante mamma Obonga).
"Eddai, ma vuoi che non sappia che lo champagne si punta verso l'alto? Ecco guarda, per prudenza lo stappo mirando a quell'angolo del soffitto lassù, contenta?"

Ora val bene ricordare che Papà Obongo possiede due qualità indiscusse: una mira pazzesca e un gran talento per il biliardo.
E se la situazione richiedeva un utilizzo magistrale della prima, onde non incrementare il numero di guerci in salotto, il geometrico capofamiglia avrebbe fatto meglio a dosare l'utilizzo della seconda.

PAFF - guizza il tappo sospinto da un'onda propellente di indiavolate bollicine.

POCK - rimbalza il tappo, proprio su "quell'angolo del soffitto, lassù" (voto alla mira: 10).

POCK #2 - prosegue il tappo nella sua formidabile corsa incontrando una nuova parete.

STUD - il tappo presenzia ad un inatteso incontro con il lampadario di cristallo (voto alla carambola: 10)

SPLIIIIIT - TUGGG - AAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHH

Gli ultimi tre furono nell'ordine: 
- foglia d'acanto che si separa dal suddetto lampadario abbandonandosi alla forza di gravità;
- atterraggio della medesima foglia sulla testa di zia Obonghella;
- urlo di zia Obonghella al contatto con la foglia acuminata (la bestemmia ve la risparmio, perché era comunque Natale).

La scena a pochi secondi dalla partenza del tappo è la seguente: papà Obongo impietrito con in mano la bottiglia che rilascia spuma, gli altri commensali che lo osservano a bocca aperta (miracolosamente nessuno ha inghiottito il tappo), a parte i pochi che si erano cautamente infrattati che iniziano a ridere, il lampadario gravemente ferito, il tappo terminato in bagno dopo un "cinque sponde rovesciato" e la foglia d'acanto tutto sommato in buone condizioni, considerando l'accaduto. 
Il tutto mentre un rivoletto di sangue solca il viso di zia Obonghella.

Una volta suturata la ferita, dopo averne appurato la lieve entità, la serata è proseguita senza ulteriori brindisi: ce ne fosse stato bisogno, si era visto come l'alcool, mischiato a mirabolanti carambole, possa causare fortissimi mal di testa.


martedì 15 luglio 2014

Può una baguette recitare?

La risposta a questa inconsueta domanda si trova alla fine di questa storia.

Una storia che comincia con Obongo e la sua famiglia (Obonga e Obonghina) che vanno a fare la spesa al supermercato.
Obongo compra un bel po’ di cose, fra le quali appunto una baguette e si avvia verso le casse.
Obongo, moderno uomo 2.0, ignora le casse tradizionali e tira dritto per quelle automatiche, che ritiene di poter addomesticare a suo piacimento.
Obonga fa presente che ha con se un certo numero di coupon che danno diritto a svariati sconti.
“Forse è meglio far fare alla cassiera, noi non sappiamo come si fa” – osserva la saggia e lungimirante Obonga
“Ma va, ci faremo spiegare come usarli dalla commessa che fa assistenza alla cassa automatica.” – replica fermo il temerario Obongo.
Obongo inizia a passare la merce sul lettore dei codici a barre.
Inizia la rutilante litania della vocina che riepiloga il conto, articolo dopo articolo.
“Plip... 1 euro e 26 centesimi...”
“Plip... 2 euro e 10 centesimi...”
“PLIIP! PLIIP! Articolo inatteso nell'area sacchetto.”
“Ah, già togli il portafogli da lì.” - distratto Obongo.
Dopo i consueti intoppi con un codice a barre illeggibile, l'inserimento della quantità esatta di pezzi dello stesso articolo, l'assistenza della commessa attesa a lungo (perché impegnata a servire un cerebroleso che sta fermo di fronte alla cassa intontito con un’aragosta in mano), Obongo termina finalmente l'odiosa procedura in un tempo comunque accettabile.
I segni di impazienza sono pochissimi e celati con professionale savoir faire.
Ma ci sono I coupon.
Non li vogliamo questi pochi euro di sconto?
Certo che li vogliamo.
Attesa dell'assistenza della commessa, parte seconda: ora è intenta a spiegare ad una cicciona che va bene scansionare le pappette, ma il gatto no.
I segni di impazienza sono ora percettibili, benché ancora lievi.
La commessa arriva, inserisce i coupon ed Obongo paga; è ora di impacchettare.
Obongo è rapido e preciso nel farlo (anni passati a giocare a Tetris, danno i loro frutti): di contro non sopporta i perentori ordini scanditi dalla pedante vocina della macchina, la quale, una volta terminato il pagamento, incalza il cliente con la solita fastidiosissima frase ad intervalli regolari “rimuovere gli articoli dall'area sacchetto”.
Obongo: “Si lo so, li ho appena comprati me li voglio portare a cas...”
Macchina: “Rimuovere gli articoli dall'area sacchetto”.
Obongo: “No, adesso te li lascio qui, con tutto quello che cost...”
Macchina: “Rimuovere gli articoli dall'area sacchetto”
Per la fretta cade uno yogurt.
Obongo: “Ma porca put...”
Macchina: “Rimuovere gli articoli dall'area sacchetto”
Obongo, a voce altissima: “Fottiti, tu e tutta l'area sacchetto!”
Eco: “... etto, etto, etto, ...”
Molti si girano e la commessa di prima lo guarda schifata scuotendo la testa.
Macchina: “Rimuovere gli articoli dall'area sacchetto”
Obongo: “…”
Sette bestemmie dopo, quattro rivolte ad uno sviluppatore software troppo zelante ed altre tre ad una doppiatrice dalla voce gradevole come un cactus posizionato in area perianale, Obongo ha finalmente sconfitto la macchina e si stente adesso un eroe, per giunta aizzato dai complimenti di Obonga, che come sempre ammira le sue doti di impacchettatore implacabile, anche se certamente non calmo.
Obongo si sente un eroe, dunque, per la precisione un cavaliere Jedi.
Ed è la forza ad indicargli di sferrare l'attacco finale quando la vocina infingarda sibila nuovamente:
“Rimuovere gli articoli dall'area sacchetto”
La baguette è rimasta là.
La macchina, la baguette e lo Jedi: lo scenario perfetto per girare l'ultima scena.
La baguette lo guarda.
Obongo-Jedi ricambia lo sguardo.
È il momento dell'azione.
“Che la forza sia con me.”
Obongo impugna stretta la baguette sottraendola alla macchina per zittirla una volta per tutte e la rotea con possenza di fronte agli attoniti passanti: un ghigno di vittoria gli si forma in volto e sta per esclamare qualcosa di storico per sugellare il momento.
La sua trance è però interrotta quando le leggi della fisica irrompono sulla scena.

Per quelli di voi che si ricordano come siamo arrivati fino a qua, ecco la dovuta risposta: no, la baguette non può, non sa, non vuole impegnarsi a recitare alcuna parte.
La wannabe spada laser si frantuma in due pezzi e mentre un moncherino continua a fare da elsa, il resto vola via dal sacchetto, non progettato per sopportare il peso di una baguette roteata vorticosamente, schiantandosi in un mare di briciole proprio nell'area sacchetto.

Fra le risate di Obonga e il disgusto della commessa, solo una voce rompe il silenzio.
“Rimuovere gli articoli dall'area sacchetto”