È un barbeque come tanti altri.
Il barbeque situato sul terrazzo di casa al terzo piano già usato tante altre volte per deliziare gli amici con gustosi arrosti.
Obongo suda alle prese con i quarti di pollo, da sempre la sua bestia nera in materia di grigliate.
Bestia nel senso di pollo e nera nel senso di bruciata.
La maledetta carcassa del volatile quando viene posta sulla griglia inizia a sgocciolare copiose quantità di grasso che a contatto con la brace sprigionano fiamme talvolta capaci di avvolgerla e sbruciacchiarla malamente.
Con rapidi esperti gesti Obongo doma le indesiderate fiamme, vettori di eccessivo calore e si appresta a girare la bisunta carne onde evitare che resti carbonizzata.
E benché si tratti di gesti ripetuti con precisione certosina innumerevoli volte, qualcosa si inceppa nella collaudata procedura di ribaltamento.
La combinazione forchetta-forchettone è leggermente imprecisa e la presa esercitata sul pezzo di avicolo non è sufficiente a trattenerlo stabilmente; il medesimo sguiscia fra i denti d'acciaio delle posate, preparando la via per una mirabolante fuga.
Nel suo ultimo volo, affrontato post-mortem, il beffardo galletto abbandona scivoloso lo spazio sopra la brace dove era stato posto, rimbalza sullo spigolo della griglia e si dirige frettoloso verso il pavimento del balcone.
Ivi atterrato, sempre utilizzando le ampie risorse del già menzionato grasso, scivola con un mezzo saltello verso il bordo del balcone centrando con esemplare precisione lo spazio libero nella ringhiera.
Finalmente libero da qualsiasi vincolo si abbandona alla forza di gravità nel suo ultimo sussulto verso il vuoto che va a concludersi in un calibrato atterraggio un piano più sotto sulla biancheria stesa ad asciugare della vicina di casa.
Il pietrificato Obongo non perde un attimo e mentre si dirige dabbasso fa lista mentale degli insulti che entro pochi secondi l'iraconda vicina gli rovescerà addosso, per essere stato talmente sbadato da avere lasciato che un pollo morto, o meglio un quarto di esso, fuggisse dalla griglia per piombare unto e caldo sulle sue mutande pulite.
Il mesto Obongo suona alla porta e la donna apre.
Di fronte alla spiegazione confusa blaterata da un penitente Obongo, la donna capisce che c'è un pezzo di carne piovuto dal cielo come un asteroide che ora giace sul suo stendipanni: con una flemma a dir poco surreale va, lo recupera e lo porge ad Obongo.
Obongo ora è doppiamente interdetto: non è una cosa comune che un pollo morto, su una sola coscia, riesca a fuggire volando via da un balcone ma è forse ancora più strano che la padrona della biancheria sulla quale è atterrato trovi il fatto assolutamente normale.
Obongo con il pollo ancora bollente in mano cerca di profondersi in scuse ed offre di fare un bucato riparatore, ma mentre parla il calore si fa insopportabile e non trova di meglio che esclamare: "Ahi, è caldo, Ahi è caldo, ha qualcosa per portarlo su per favore, è caldissimo..."
La donna gentilmente gli offre dei fazzoletti di carta e lo mette alla porta rassicurandolo che del bucato se ne occuperà lei.
Forse in cuor suo avrà temuto che se un pezzetto di carne semi cotto era riuscito a fare tutta quella strada, chissà dove sarebbero potute arrivare delle mutande un po' sgualcite, ma ancora in perfette condizioni: con l'aggravante che dopo essere state a contatto con i suoi resti, potrebbero essere ora possedute dallo spirito del pollo più resistente che la storia ricordi.