venerdì 15 gennaio 2021

Quiz in famiglia

A casa Obonghini è l’ora del quiz.

La piccola Obonghina, recentemente infatuatasi di un gioco a premi visto in televisione, organizza una sessione cartacea del medesimo, coinvolgendo i genitori. Si tratta di una sorta di versione a tempo del gioco “l’impiccato”: viene fornita la prima lettera di una parola da indovinarsi con l’aiuto di una definizione. Tutte le altre lettere sono sostituite da trattini e vengono aggiunte come indizi supplementari, una alla volta col passare dei secondi.

Obonghina conduce il gioco in qualità di presentatore, creando i suoi enigmi per i due concorrenti, interpretati per l’occasione da papà Obongo e mamma Obongija che la assecondano volentieri.

A un certo punto però propone un cambio e chiede ad Obongo di fare lui il conduttore.

Obongo prepara allora il primo enigma da risolvere per la piccola che è elettrizzata all’idea di dover provare a indovinare.

“Vivono nel mare”: P_ _ _ _

Tic, tac, tic, tac.

Ad Obongo non serve neanche inserire una S alla terza casella che Obonghina esclama: “PESCI!”

“Risposta esatta! Bravissima signorina Obonghina, complimenti. Lei potrebbe diventare la nostra nuova campionessa!”

“Ora tocca alla mamma, la mamma, dai; fai la parola della mamma, vediamo chi vince!”

Obongo in quel momento viene raggiunto da un’illuminazione diabolica e ridacchiando fra sé e sé pensa “Ma sì, facciamo giocare la mamma”.

Certo; fare leva sul fatto che l’italiano non sia la lingua nativa della mamma ed utilizzarlo per instillare in lei quel tanto di confusione necessaria a creare una situazione comica degna del peggior umorismo da avanspettacolo, sarebbe un’azione squallida e riprovevole. Questo è ciò che passa nella testa di qualcun altro nel mondo mentre Obongo mette in atto il suo scherzoso piano criminale. 

Partorisce quindi il seguente enigma, mentre fa partire il cronometro per il round di Obongija:

“Sinonimo di sfugolo”: H _ _ _ _ _

“Sfugolo? Sfu… golo? Mmm… sfugolo, sfugolo… mmm, mi pare che…”

Con uno sforzo sovrumano, in piena trance agonistica, Obongija prova: “HARPONE?”

Obongo stigmatizza la risposta errata: “Ma va, cos'è mai un harpone dai? Ma ti pare? Harpone non vuol dire niente in italiano!”

Mentre Obongija spreme le meningi per trovare la soluzione, con il passare dei secondi, Obonghina fa notare che bisogna mettere altre lettere per dare gli indizi.

Ecco quindi comparire una K, una delle lettere più comuni nel lessico italico

H _K _ _ _

La faccia di Obongija adesso è quella di uno che ha visto passare un cane viola con 5 zampe. Sta per aprire la bocca per articolare non si sa bene se un tentativo o una protesta, quando, come da regolamento, Obongo fa comparire un altro preziosissimo aiuto.

H _ K Q _ _

Obonghina guarda la mamma, la mamma guarda il papà, il papà commenta “Dai, possibile davvero che tu non abbia mai visto uno sfugolo? Uno di quelli elettrici?”

Obongija sta per abbozzare qualcosa sul fatto che non ci sono parole italiane con 'KQ', quando compare un nuovo indizio rivelatore.

H _ K Q % _ 

Obongija sbuffa guardando male Obongo con una mezza parolaccia strozzata in gola (è pur sempre presente un minore); la soluzione è che suo marito è un idiota, per altro lo stesso da 13 anni a questa parte e forse questo avrebbe dovuto far partire l’allarme anti-sfugolo un po’ prima.

“Ho vinto esulta Obonghina” e aggiunge subito “adesso tocca alla mamma fare la parola e a noi indovinare.”

Obongija allora fa giocare Obonghina.

“Fa miao, miao”: G _ _ _ _

E Obonghina centra subito: “GATTO!”

Poi con un sorrisino riflette su quale parola sia la migliore possibile per far giocare quell’ineffabile simpaticone di suo marito. Il quale si vede presentare questo complesso rompicapo.

“Papà non la vedrà per due mesi”: F _ _ _


La parola da indovinare

lunedì 3 settembre 2018

Till death tattoo us part

Questo l’ho fatto quando avevo 16 anni.
Bello. Molto carino.
Poi ne ho un altro sulla caviglia, una rosa rossa che rappresenta l’amore e la passione.

La parrucchiera sforbicia precisa e sicura mentre racconta la mappa geografica dei tatuaggi attualmente presenti sulla sua pelle.
Obongo, del partito di quelli che si farebbero tagliare i capelli in un beato silenzio, non ha potuto fare a meno di notare gli sgargianti disegnini rivelati dal look senza maniche.
E ora non gli resta di meglio che ascoltare i dettagli.
Quanti sono, cosa rappresentano, quanti altri ne vuole fare.

Questo mi ha fatto un po’ male, è una zona piena di terminazioni nervose.
E quello là? Quella palla colorata con un riflesso?
No, no, no. Non è una palla.
Ops… Cosa rappresenta allora?
È l’iniziale del nome di mio marito, una lettera O.

“Ora mi devo sorbire pure la telenovela in salsa tattoo” pensa Obongo mordendosi la lingua.

Quando ci siamo sposati lui si è tatuato l’iniziale del mio nome esattamente nello stesso punto. Così quando abbiamo fatto le promesse di matrimonio mano nella mano, le iniziali restavano vicine vicine.

[immaginari violini di marzapane suonano la marcia nuziale in sottofondo, mentre passerotti fatti di piume e amore cinguettano intonati]

Eh... Perchè quando c’è un amore grande come il nostro, senti che te lo devi scrivere sulla pelle… Che devi lasciare una testimonianza forte… Una traccia visibile... Capisci?

Obongo no, non capisce; ha seri problemi a capire tutti i tatuaggi che vorrebbero essere una O e che sembrano invece una palla con un riflesso.
Ha problemi ancora più seri a capire chi si tappezza di macchie colorate indecifrabili, che più che il prodotto di un ago che ricalca un disegno, sembrano il risultato dello starnuto di un tatuatore con la bocca piena di tutti gli inchiostri disponibili.

- Quanti ne vuoi?
- 19 e tutti rigorosamente a cazzo.
- Preferenze?
- No, vai, fai tu. Eccoti il pepe.
- Aspetta! Lasciami rimasticare bene questi dieci litri di arcobaleno, così si impasta tutto alla perfezione. EQQO HONO HONTHO.
- Ecco il pepe. Vai, tatuami!
- ETTCHUUMMMM!!!! SPLATCH – SPLOTCH - SPLUTCH
- Oh, oui, j’adore! Guarda che tribalino del Congo che mi hai piazzato sullo sterno!

Terminato il suo sogno a occhi aperti, Obongo torna alla realtà e risponde invece:

Sì, capisco.
Guarda, ci amiamo davvero tanto. Quando ho conosciuto mio marito ho capito subito che lui era quello giusto… E lui con me. Quindi abbiamo deciso di farci questi tatuaggi.
Molto romantico.
Sì, sì… L’amore… Quello vero, quello che resta per sempre...
Anzi, scusa se ho pensato che fosse una palla con un riflesso.

[I violini zuccherosi si fermano di colpo e i passerotti atterrano male sul pavimento]

La parrucchiera assume un’aria seria e osserva Obongo.
Obongo un po’imbarazzato spera che la romanticissima ragazza non si sia offesa.

No tranquillo. È che sai, i tatuaggi poi restano anche se le storie finiscono.
...
Per cui se quello stronzo un giorno lo becco a letto con un’altra, quella O diventa subito un sole giallo. Io intanto mi sono portata avanti, non si sa mai: con quei riflessi ci posso fare un lago, poi ci faccio mettere due colline sotto e qualche nuvola. Così gli ricorderò per sempre il tramonto dei suoi soldi con tutti gli alimenti che gli faccio pagare.
...
Ma per adesso, il tatuaggio è una O.



martedì 17 luglio 2018

La gaìna in canavera

È un bellissimo matrimonio ed il pranzo scorre via leggero fra una portata e l’altra.
Gli sposi sono belli e felici e, prima della torta come da consuetudine, c’è spazio per i discorsi.
Prima la sposa Obonghella, poi suo marito Obònguel.
“Grazie”, “Felici”, “Amici”, “Brindisi”.
Applausi.
Poi, colto da improvviso entusiasmo, anche il proprietario del ristorante sente di dover intervenire.
“Grazie”, “Felici”, “Amici”, “Brindisi” … “Evviva gli sposi!”
Applausi.
Sull’onda dell’entusiasmo di cui sopra però, invece di posare il microfono o magari lanciare un hip-hip-hurrà, prosegue in tutt’altro modo.

“Vi rubo solo qualche secondo perché ci tengo tantissimo a raccontarvi uno dei piatti che vi abbiamo servito oggi”.
Neghereste mai pochi secondi a tale e tanto amore per la cucina locale?
“Volevo spiegarvi la ricetta della gaìna in canavera”.
Obongo, che non è veneto doc, era riuscito a capire la traduzione gaìna=gallina ma effettivamente cosa fosse la preparazione ‘in canavera’ restava per lui un po’ un mistero.
Ascolta quindi con interesse.
“Un piatto della tradizione, che si preparava già centinaia di anni fa, eredità della cultura povera di questi luoghi quando non avevamo niente e si cucinava con quello che c’era”
“Si prendeva la gaìna, la si sbudellava, la si scotennava, la si ripuliva per bene e poi la si imbottiva con rosmarino, timo, olive, aglio, cipolla, peperoni, cetrioli, pomodori, mele, pere, pesche, banane, frutti di bosco, uvetta, pinoli, anacardi, cereali, patate, fave e strudel.” [ok, lo strudel no, ma alla faccia della cucina povera, nella ricetta originale mancavano solo oro, incenso e mirra]
“Poi si prendeva questa bella gaìna farcita e la si metteva dentro la vescica di un maiale sventrato per l’occasione, la si attaccava a una canna e la si lasciava a macerare per qualche mese per far amalgamare bene tutti i sapori”.

E se ora di questo reportage sugli alti picchi della cucina tradizionale veneta leggete una sintesi, tenete a mente che l’oste dal vivo è andato avanti per un buon quarto d’ora, soffermandosi con cura sui cruenti dettagli di preparazione, fra sbudellamenti, frattaglie suine e lentissime macerazioni.
Il tipico, lunghissimo discorso che fai per farti voler bene al matrimonio di perfetti sconosciuti.
Soprattutto imperniandolo sulla vescica di un maiale.

Obònguel e Obonghella si guardano impietriti ma nessuno interviene.
Qualcuno dei commensali inizia a farsi domande sul perché la maceratissima gaìna avesse un sapore quantomeno inusuale
Oste a ruota libera.

“Ahimè al giorno d’oggi ci sono talmente tante regolamentazioni su come dobbiamo preparare il cibo per cui non possiamo più fare la buona gaìna di una volta” [alza gli occhi al cielo maledicendo quella stupida istituzione dell’Ufficio dell’Igiene e rimpiangendo le care vecchie epidemie di botulino]
“Siamo costretti a usare le buste di plastica al posto della vescica e la facciamo macerare in frigo anziché sulle canne” [sospira, rivangando con la memoria le sanguinolente vesciche che sventolavano annodate alle canne – i commensali sospirano pensando che le percentuali di sopravvivenza al pranzo si sono stabilizzate].
“Spero comunque che vi sia piaciuta”

Pausa.
Timido applauso, figlio di tenue speranza che abbia concluso.
Obònguel fa un gesto in avanti per rimuovere il microfono dalle mani del cuoco medievalista, ma prima che riesca a coordinare un “grazie”, quello riattacca:

“Il dolce che state per mangiare invece si chiama Starnuto della Scrofa; ora vi racconto come lo abbiamo preparato”.



lunedì 4 settembre 2017

Tre

Obongo va in piscina al suo primo giorno nel villaggio vacanze.
Un cartello avvisa che l’orario di apertura è ristretto dalle 9 alle 12 e poi dalle 15 alle 18.
Un po’ sorpreso da questa risicata fascia oraria chiede lumi al bagnino.

- Scusi, ma è vero che si può venire solo in questi orari?
- Ma no, ma quando mai!
- Ah, allora l’avviso è sbagliato?
- Avviso? Quale avviso?
- Quello.

Obongo indica a 50 centimetri dal punto in cui il bagnino troneggia tutti i santi giorni a bordo vasca.
Il nostro osserva l’avviso per la prima volta in vita sua e lo soppesa con curiosità; piccoli movimenti delle labbra suggeriscono che lo stia leggendo. Arriva un rapido verdetto.
Straaaappp!

- No, no, tranquillo. Tutto sbagliato. Chissà chi l’ha lasciato lì... [accartoccia gli orari farlocchi e ridacchia divertito]
Bene; allora gli orari esatti quali sono?
- Io inizio alle nove e stacco alle sei. Però faccio pausa da mezzogiorno alle tre.

Ecco uno di quei rari casi in cui Obongo fa uso della laurea in matematica.
Per sicurezza rifà i calcoli tre volte.
Diciamola tutta: quattro e alla quarta usa pure le dita.
Certo del risultato ottenuto, lo condivide.

- Ma allora l’avviso è giusto: dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18.

Il bagnino resta impietrito.
Con espressione indefinibile si fissa le mani che stringono l’ex avviso divenuto cartaccia.
Una palla di fieno rotola da parte a parte attraverso il lobo frontale.
Un rivoletto fluido gli cola impietoso da un orecchio.
All’improvviso, riparte.

- Eh già, se la mettiamo così, allora era giusto.
- Che fa, lo riattacca?
[osserva la palla di carta, valutandone la stirabilità] No, non c’è bisogno, tanto qui apro e chiudo io.

Obongo si congeda e prosegue un po’ perplesso, sperando che il bagnino nuoti meglio di come ragiona e che il villaggio disponga almeno di un tavolo da ping pong, altro suo hobby, visto che l’uso della piscina è consentito solo a piccole dosi.
Ah, già, il ping pong! Ci sarà?
Per una sua strana forma di bevenolenza nei confronti del genere umano, Obongo ritenta la fortuna, approcciando il sagace bagnino una seconda volta.

- Scusi, già che ci siamo, sa mica se c’è un tavolo da ping pong nel villaggio?
- Piiinnnng?..... [sforzo notevole] ... Poooonng?... [sforzissimo]
...
- No. Mi spiace. Sicurissimo, non c’è.
- Ah, peccato. Va beh, grazie per l’informazione.

Arrivate le 18, la piscina chiude. Con poco altro in programma per la giornata, Obongo decide di fare un giro per il villaggio alla ricerca di qualsiasi altra cosa potrebbe essere utile per occupare alcune delle molte ore di vacanza ancora a disposizione.
Villaggio non proprio enorme, ragion per cui gli bastano pochi metri di passeggiata per trovare l’area dedicata al ping pong, probabilmente allestita nel breve lasso di tempo occorso dalla testimonianza del bagnino da zelanti animatori spioni.
O forse sempre stata lì, magari corredata dall’avviso “Qui si gioca a ping pong”, prima che un misterioso vandalo lo distruggesse per imprecisati motivi [ma guarda sti campi da bocce sopraelevati! Ma chi li ha messi su così? Sono troppo corti... E poi la retina in mezzo? Blocca tutti i tiri!... E, va là, cosa c’è scritto qui? Straaaappp!]

E se ancora il bagnino non fosse stato aggiornato, può sempre leggere il titolo di questa storia per verificare che sì, i tavoli da ping pong nel villaggio c’erano, e conoscerne inoltre l’esatta dotazione.



domenica 20 agosto 2017

Sarcasmo und Kartoffeln

Obongo si trova in Austria per partecipare a una fiera.
Per l’occasione collabora con dei colleghi locali.
Finita la giornata lavorativa, la sera si va a cena tutti insieme.
E come si confà al perfetto turista, il primo giorno Obongo ordina una delle specialità tipiche e se la mangia di gusto: la Wiener Schnitzel (cotoletta impanata alla viennese) con contorno di patate è davvero buona.
Il secondo giorno anche lo stinco con le patate ha il suo perché, dove il perché è rappresentato soprattutto dall’ottima birra locale con la quale viene abbondantemente annaffiato.
Il terzo giorno i segnali iniziano a farsi evidenti che la cucina austriaca, pur apprezzabile, presenta qualche limitazione sul fronte della varietà degli ingredienti utilizzati, dove “varietà” è una parola che in questo contesto ci azzecca tanto quanto “cancelleria” o “riverniciare”.
Sul piatto spiedini, salsicce, salsicciotti, bistecche arrosto, fritte, in forno, wurstelazzi di ogni dimensione e genere; ad accompagnarli sempre patate, tagliuzzate nei modi più disparati e condite magari con un po’ di pancetta, caso mai si sentisse un impellente bisogno di un po’ di carne.
Sì, a dirla tutta ci sono delle zuppette e qualche altra portata che differisce; ma la parte del leone, o meglio della mucca, del maiale e di parecchia altra cacciagione lo fanno i piatti a base di carne e patate.

Al quarto giorno, e quarto ristorante diverso, Obongo decide di scherzarci su.
Complice il fatto che il menu è solo in tedesco si rivolge alla collega teutonica seduta al suo fianco per chiederle il consiglio più superfluo del mondo.
La conversazione si svolge in inglese ma per oscure ragioni è a noi giunta in italo-tedesco maccheronico.

Kollega Tetesca: “Kosa foresti manciare?”
Sarcastico Obongo: “Mmm, non saprei… Avrei voglia di un piatto a base di carne e patate… Non è che c’è qualcosa che fa al caso mio nel menu?”
KT: “Ja, ja, ja! Kvesto è fatto kon karne und patate… Kvest’altro è fatto kon karne und patate… Oh, e kvesto… E kvest’altro… Ah, anke kvesto, io non afefa fisto, zkuza…” [sorride entusiasta smarcando una dopo l’altra le righe del menu]

Obongo, inizialmente divertito dalla diversità culturale nell’approccio al sarcasmo, la ferma prima che indichi tutte le 156 portate, verso la novantaquattresima, accortosi che la donna non ha minimamente colto l’andazzo della situazione e visto il ritmo incessante con cui continua (incredibilmente) a trovare piatti a base di carne e patate nel menu.

KT: “Tu kampiato itea?”
SO: “No, no, prendo la Wiener Schnitzel con le patate arrosto… Grazie per l’aiuto.”
KT: “Preko, non c’è ti ke. Posso io aiutare te ankora?”

“E io che volevo smetterla qui” è tutto ciò che riesce a pensare Obongo, sentendosi un po’ come il toro a cui hanno appena sventolato il drappo rosso di fronte al naso.

SO: “Già che ci siamo, avrei una curiosità... Posso?”
KT: “Ja, certo. Tu kieti me!”
SO: “Ho sentito parlare di questa Oktober Fest… Ma non ho capito bene di cosa si tratti e soprattutto… Quando la fanno?”

Nei dieci minuti di spiegazione seguenti è venuto fuori che è proprio una festa e che la fanno a ottobre.
Si beve birra e, volendo, servono anche carne e patate a volontà.

Kvesto è fatto kon karne und patate