lunedì 25 agosto 2014

La strada verso il cuore di una donna

Obongo ed Obassa tornano da scuola.
La spensieratezza dei diciott’anni e lo splendore di una meravigliosa giornata primaverile fanno da cornice a questa storia, in cui vedremo quanto sia importante, fin da ragazzi, imparare a superare le difficoltà sulla strada che porta al cuore di una donna.

I due amici abitano a poca distanza uno dall’altro ed una volta scesi dall’autobus, affrontano come ogni giorno la breve camminata per tornare a casa.
Il tragitto è particolarmente interessante poiché in quella strada vivono le sorelle Gnoccobonga, due bellissime ragazze che hanno fatto innamorare tutto il quartiere, inclusi i nostri due giovani eroi.
Quella parte del percorso, prima di rincasare, è la preferita dei due, che fantasticano sul riuscire a scorgere una o addirittura entrambe le Gnoccobonga nel giardino di casa loro.
Dall’imboccatura della strada non parlano d’altro, facendo volare il pensiero verso il possibile incontro e colorandolo delle svolte più o meno plausibili che potrebbe prendere: “magari stanno lavando la macchina in bikini, perché c’è caldo”, “e se arrivasse una folata di maestrale e gli si alza la gonna?”, “Poi magari passa una gazza ladra che gli ruba le mutande”, “forse una inciampa, sbatte la testa e s’innamora di me”, “forse si baciano”.
In realtà i due le Gnoccobonga le hanno scorte forse tre volte per una durata complessiva dei fugaci incontri di non più di dieci secondi, ma tant’è: un po’ il mito delle bellissime sorelle, un po’ il mix di fantasie ormonali unite all’euforia di avere terminato la giornata scolastica, e così ogni giorno l’argomento di discussione è sempre lo stesso, condito da commenti sempre più variopinti ed alienati dalla realtà.

Come di consueto, i due rallentano come gabbiani in planata verso la preda, per far perdurare il transito di fronte al cancello delle Gnoccabonga il più a lungo possibile.
Niente.
Non è giornata di pesca.
Obassa allora riparte sconsolato a passo più spedito verso casa, mentre Obongo rimane qualche metro più indietro, accortosi di avere una scarpa slacciata.
Improvvisamente, come levitando su un arcobaleno coperto di petali di rosa, una delle Gnoccabonga fuoriesce da una porticina, facendo la sua comparsa sul giardino di casa, salutando gli animali accorsi per l’evento e irradiando il quartiere con la sua aura a pochi metri dalla faccia di un impietrito Obongo.
Costui, a parziale scusa di quello che sta per succedergli, giura e spergiura che la Gnoccabonga gli abbia sorriso sussurrando “bel giovanotto, lascia che ti aiuti ad allacciare la scarpa con le mie mani vellutate”: si era ovviamente trattato di un’allucinazione dovuta al fatto che nessuna ragazza di quella particolare bellezza gli si era mai avvicinata a meno di dieci metri di distanza e con un solo cancello chiuso nel mezzo.
Obongo completamente ipnotizzato sta sognando la conclusione della frase “puoi baciare la sposa”, quando la stridula voce di Obassa, fermo ad aspettarlo qualche metro più avanti, spezza la magia: “Ti muovi?”
La Gnoccabonga ora lo sta fissando per davvero, incuriosita dal vociare di Obassa.
Obongo assume tutte le colorazioni possibili nella gamma fra il rosso ed il blu, si ricompone in fretta e furia e, facendo finta di niente, scatta con un balzello verso l’impaziente amico.

– BANG – Un colpo sordo rimbomba nella strada.

La ripartenza di Obongo è stata bruscamente interrotta da un inatteso lampione.
Volendo simpatizzare con lo sfortunato Obongo che giace tramortito sull’asfalto, potremmo dire che il lampione lo ha colpito a tradimento; troppo facile prendersela con la fronte di uno impegnato a guardare una Gnoccobonga.
La situazione è la seguente: Obassa si è accasciato a sua volta per terra in preda ad un attacco di riso isterico, guardandosi bene dal soccorrere l’amico ferito, il quale in pochi secondi vede maturare sullo sventurato cranio un bernoccolo grande e colorato come un fico d’india.
Nonostante la violenza dell’urto ne presentasse gli estremi, nessuna denuncia è mai stata inoltrata per tentato abbattimento di beni comunali.
Una volta ripresosi ed aiutato Obassa, che ancora rideva, a darsi un contegno e a rimettersi in piedi, Obongo si dirige verso il lampione, per guardare in faccia il suo aggressore.

Sul bianco del palo, proprio nel punto esatto in cui l’aveva impattato, era stato appiccicato un adesivo.
Era una pubblicità di non si sa bene cosa, raffigurante un bersaglio colorato.
Sembrava essere stato messo lì apposta per il giovane ariete, come un invito, prontamente accolto.
Obongo aveva fatto centro secco, imparando quel giorno che la strada che porta al cuore di una donna è irta di difficoltà, piena di paletti e, nei casi più eclatanti, anche di solidissimi lampioni.


Illustrazione originale di Uros Savić per Obongo 






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