domenica 26 luglio 2015

Vespiegazione

Un mattina come tante altre, Obongo ed Obonga si trovano in cucina.
All’improvviso, dalla finestra aperta entra una vespa.
Obongo fa un cenno alla moglie e dà istruzioni per evitare che l’insetto voli in giro per la casa: “Esci e chiudi la porta, a questa ci penso io”.
Obonga esce tirandosi dietro la porta.
Senza troppe difficolta, prima che Obongo possa iniziare qualsiasi operazione, la vespa esce da dove era entrata, semplificando le cose.
Obongo richiama Obonga, che torna in cucina.
Al suo rientro però, Obonga compie una singolare manovra che lascia Obongo un po’ basito.
Si dirige verso la finestra con la mano aperta davanti al corpo, sventolandola come per scacciare l’insetto.
Scaccia e cammina rapidamente, fino a raggiungere la finestra per poi chiuderla.
“Ecco, così non torna”.

Per i più curiosi, Obonga si era svegliata da poco ed il gesto è stato partorito in quella delicata fase del risveglio fra l’alzarsi dal letto e il primo caffè della giornata, in cui le funzioni cerebrali della moglie-zombie non sono ancora state ripristinate.
Obongo da bravo marito ha pensato di ricamarci su una storiella.

La domanda è dunque la seguente: cosa ha detto Obonga alla vespa sventagliando il palmo della mano, per farla allontanare dopo che si era già allontanata?
Anzitutto è apprezzabile lo sforzo di non avere parlato alla vespa; è ragionevole pensare che, sì, la vespa sia nata e cresciuta in Italia, ma che difficilmente parli l’Italiano. Il linguaggio dei gesti, invece, è universale.
Anche l’avere usato un gesto non scurrile, benché molto diretto come “sciò, sciò, pussa via” è una buona scelta: qualcosa di più volgare tipo il dito medio sarebbe stato politicamente scorretto e avrebbe suscitato un vespaio di polemiche nelle già complesse relazioni fra uomini e insetti.
Ma da dove Obonga ha tratto la sicurezza che l’animaletto non sarebbe più tornato?
Quale orribile messaggio post-datato era contenuto nel palmo della sua mano basculante?
Forse la ratio dello sventolamento rispetto alla velocità di avanzamento ha prodotto delle onde di frequenza opportuna, che quando captate dalle antenne della vespa le hanno presentato una minaccia convincente?
Tesi, questa della telecomunicazione, che è peraltro l’unica sostenibile: la vespa infatti si era allontanata già da un bel po’ dalla cucina e svolazzava beata per i cavoli suoi da qualche altra parte all’aperto, proprio mentre Obonga si produceva nel suo sforzo comunicativo trans-specie.
Forse le due si erano già incontrate? La vespa ha riconosciuto la cucina che le ha riportato alla memoria il trauma del precedente faccia a faccia con la sopravanzante Obonga e perciò è fuggita ad ali levate.
Obonga anche lei giunta in cucina e notato che la minaccia della vespa non era più tale, ha mostrato il “gesto che tutto può” ad uso e consumo di Obongo, perché anche lui sia in grado di scacciare un insetto qualora questo sia già volato via per i fatti suoi.

Qualsiasi sia la spiegazione, pochi minuti dopo, un’altra vespa si palesa indesiderata in camera da letto.
Probabilmente non quella di prima o neanche una parente o un’amica: è ragionevole pensare che la notizia dei pericoli nascosti in quella casa sia ormai di dominio pubblico tra gli imenotteri.
O forse è proprio la vespa di prima che ne ha fatto una questione di pungiglio?

Obongo non perde occasione e utilizza subito quanto imparato, dirigendo però lo sventagliamento della mano in direzione della moglie, mentre dà istruzioni: “Esci e chiudi la porta; con questa ci parlo io”.  


domenica 12 luglio 2015

La lista

Obongo è una persona distratta con una pessima memoria.
Il suo cervello è come uno scolapasta dotato di fori che inesorabilmente si vanno allargando nel tempo.
Una volta ha cercato di spiegare ad un amico la frustrazione di come ci si senta a dimenticarsi nomi, dettagli, cose e persone usando una metafora.
Appena aperta bocca però non si ricordava più cosa fosse una metafora.

Come tutti, Obongo ogni tanto va a fare la spesa.
Il numero di articoli acquistati rispetto a quelli che aveva intenzione di acquistare è una frazione che si va assottigliando sempre più.
Compra la frutta, ma dimentica il pane; compra la pasta e dimentica vino e pelati.
Sempre che non esca di casa per poi rientrare, dimenticandosi del tutto di andare a fare la spesa.

Un giorno voleva essere sicuro di comprare, fra le altre cose, anche una risma di carta nuova; per non scordarsene aveva pensato bene di scrivere una lista su un foglietto, ma non riusciva a ricordarsi dove avesse messo la penna.
La cercò per mezz'ora ed infine la trovò; impugnata saldamente la biro la fissò attentamente, sapendo che c’era una ragione per tutto questo.
Ah già: il foglietto, la lista!
Dove aveva messo il foglietto?
Ci volle un’altra mezz'ora per trovare il foglietto.
Era finito sotto la risma di carta nuova.

Il caso più sfortunato si verificò però il giorno in cui aveva invitato a cena Obonga.
Per impressionarla aveva imbastito un menu da grande chef per il quale era necessario un numero davvero elevato di ingredienti: nessuna distrazione era consentita, pena il fallimento dell’operazione culinaria-amorosa.
Penna: check.
Foglietto: check.
Lista: check.
Rilettura della lista: check.
Terza, quarta, ennesima rilettura della lista: check.
Questa volta non voleva, non doveva sbagliare; l’ultimo dettaglio era trovare un posto dove mettere la lista.
Già; perché la lista serve a ricordarsi le cose, ma poi bisogna ricordarsi anche della lista.
Ricordarsi della lista: check!
La sistemò nel posto più sicuro che gli venne in mente apprestandosi ad uscire, quando Obonga lo richiamò per sapere che vino portare.
Ne approfittò per flirtare ancora un po’ al telefono e, già pregustandosi la cenetta romantica, si incamminò verso il supermercato con un sorrisone stampato sulla faccia.
Sorrisone che svanì però una volta giunto sul posto.
La lista! La lista! Dove aveva messo la lista?

Obongo non se lo ricordava più.
Eppure era stato così attento nel sistemarla nel posto giusto.
Ed in effetti la lista era ancora lì, proprio dove l’aveva riposta con tanta cura.

Nella tasca dei suoi pantaloni.
A casa.


domenica 5 luglio 2015

Piccoli obonghi crescono

Storie di obonghini ed obonghine e degli occhi innocenti con cui osservano il mondo.

Privacy
Obonghino è un bimbo perspicace ma testardo.
Oggi ha deciso che proprio non vuole andare all’asilo e mamma Obonga sta combattendo una battaglia senza fine per trascinarcelo.
Lo carica sul sedile di dietro della macchina e, durante il percorso, cerca di convincerlo come può.
“All’asilo puoi giocare con i tuoi amichetti e le maestre ti insegnano tante cose utili.”
“Tu vuoi solo liberarti di me.”
“Ma… Come puoi dire una cosa simile?”
“Cosa ti ho fatto di male? Perché vuoi liberarti di me?”
Mamma Obonga un po’ a corto di argomenti e con poca voglia di discutere gioca una carta sporca e fa intervenire niente meno che una divinità in una semplice discussione col figlio di quasi quattro anni.
“Stai attento a quello che dici sai. Non dire queste cose cattive. Ricordati che Gesù ti guarda da lassù.”
Obonghino ammutolisce piccato.
Mamma Obonga, magari non proprio orgogliosa del suo colpo basso, guarda comunque al risultato e si pregusta il silenzio che sembra conseguirne.
Dallo specchietto retrovisore vede Obonghino assumere un’espressione contrariata, a braccia conserte.
Forse è fatta, ora sta zitto fino all’asilo.
Obonghino di colpo allarga le braccia, punta un dito verso l’alto e guarda in su esclamando in tono minaccioso: “Hey, tu lassù, cos’hai da guardare?”

Odore
Obonghina e mamma Obonga rientrano da una passeggiata e aspettano l’ascensore al piano terra.
Si aprono le porte e dalla cabina esce la signora Obonghessa, famosa in tutto il palazzo per il suo utilizzo non certo parco di essenze e profumi.
I più maligni sospettano che invece di aspergere il profumo su di sé, lo beva direttamente, per raggiungere il livello di densità con il quale gli effluvi la circondano.
Mamma Obonga saluta.
La signora Obonghessa ricambia e si sofferma un attimo a fare un complimento alla piccola.
“Ma che grande questa bambina. Quanto sei cresciuta Obonghina! Sempre più bella.”
“Fai ciao alla signora Obonghessa”
“Ciao”
“Ciao, ciao, Obonghina”.
La Obonghessa saluta dal pianerottolo mentre Obonga senior e junior entrano nella cabina, accolte da un vero e proprio muro di profumo.
Mamma Obonga non fa una piega, aspettando che si chiudano le porte e soprattutto di essere fuori dal campo visivo della Obonghessa, mentre Obonghina prorompe a voce alta: “Ma cos’è quest’odore di puzza!”

Strisce
Obonghina sta giocando con il monopattino, sotto lo sguardo vigile di mamma Obonga.
Tra un giro del parco e l’altro, ad un certo punto incrocia una vecchietta un po’ malferma che si accinge ad attraversare la strada.
Le lezioni di educazione civica e stradale ricevute a casa sortiscono l’effetto desiderato ed Obonghina frena e si ferma per lasciar passare l’anziana signora.
Pazientemente attende che attraversi sulle strisce pedonali, salutandola con un sorriso educato.
“Ah, grazie brava bambina”
“Di niente signora, buona giornata”
La signora finisce di transitare mentre mamma Obonga assiste tronfia di orgoglio alla scena; quasi sente una lacrimuccia pronta a solcarle il viso, per l’educazione impeccabile mostrata dalla sua piccola.
Obonghina è pronta a ripartire, ma notando a sua volta la mamma che la osserva, sente la necessità di comunicare un resoconto dell’accaduto a voce altissima, anche a beneficio di coloro che magari si erano persi la scena.
“Mamma! Mamma!”
“Sì amore mio?”
"Mamma hai visto? Ho fatto passare la vecchiaaaaaa!"

Fame
Obonghina e mamma Obonga si recano al panificio.
Mentre quest’ultima è intenta ad ordinare rosette e focaccia, la piccola è ipnotizzata dal pancione di una signora in stato interessante; a giudicare dal volume non deve mancare molto al lieto evento.
Osserva quel misterioso globo mentre mille domande scaturiscono nella sua giovane testolina.
Obonghina, curiosa, incalza la signora.
“Cos’è?”
“È la mia pancia, bambina”
“Grande!”
“Sì è grande, eh, eh, eh”
Obonghina la tocca con l’indice, per saggiare la consistenza.
“Perché è grande?”
“Perché c’è dentro qualcosa, sai?”
“E cosa c’è dentro?”
“Il mio bambino”
La mamma accompagna quest’ultima frase con un sorriso ed occhi sognanti mentre tenta di allungarsi verso Obonghina per condire il tutto con una carezza sulla testa.
Obonghina però si irrigidisce e retrocede, improvvisamente scura in volto.
La sua espressione è terrorizzata e mentre si attacca velocemente alle gonne di mamma Obonga urla piangendo: “Perché te lo sei mangiato?”