giovedì 28 agosto 2014

Scelte oculate

Due piccole storie per addentrarci negli imperscrutabili processi della mente femminile.

Rosa.
Obonga decide di comprare un computer portatile.
Suo marito Obongo ha una maggiore familiarità con la tecnologia dei PC e quindi la accompagna al negozio per aiutarla nella scelta del modello.
“Lo vuoi veloce? Cosa devi farci? Di quanta RAM hai bisogno?”
Tutte queste domande risuonano nella testa di Obonga come una rutilante cantilena “Trillarilla-rilla-llà?”
Obonga non ha un’idea molto precisa di cosa voglia; per dirla tutta non ha neppure un’idea di cosa vogliano dire tutte quelle fastidiose sigle come CPU, RAM, Giga e via dicendo: lei sa solo che vuole un computer portatile, uno di quegli aggeggi che da fuori sembrano proprio tutti uguali.
Educatamente risponde: “Cosa mi consigli?”
Obongo parte a raffica illustrando i pro e i contro di alcuni dei modelli sullo scaffale: “Questo ha un processore Xombat P4 con memoria cache integrata…”
Obonga fa di sì con la testa e continua a sentire il solito brusio, mentre le informazioni entrano ed escono a gran velocità dalla sua testa.
Mentre Obongo si distrae muovendosi verso un laptop interessante, Obonga rotea un po’ la testa di qua e di là per evitare di sbadigliare in direzione del marito.
Viene improvvisamente attratta da una macchia di colore, poco più avanti.
Obonga si dirige verso questo pezzo di arcobaleno e, come trainata da un rimorchiatore invisibile, entra in porto di fronte alla prodezza tecnologica che ha attirato la sua attenzione.
Obongo, già pronto a spiegarle la differenza tra lo Zebion II e lo Zebion II-Q, la vede allontanarsi; la segue, per trovarla imbambolata di fronte ad un modello assai obsoleto.
“Questo è fuori serie, non lo fanno più.”
“È rosa…”
“È una carretta rosa.”
“Sì, è rosa…”
“Sì lo vedo anche io, ma ha un processore lento come una lumaca, farai fatica anche a scrivere un testo o a visualizzare una foto.”
“Però è rosa…”
“Rosa e lento, lentissimo: ha meno memoria di mio bisnonno che non si ricorda manco come si chiama.”
“Rosa shocking…”
“Questo computer è più vecchio di molti dei commessi di questo negozio.”
“Ma questo rosa sta bene con lo smalto che mi metto in ufficio”.
“…”

Calimero.
Obongo e sua moglie Obonga decidono di comprare un piccolo televisore da posizionare in cucina.
La scelta cade su qualcosa di economico e robusto ed i due si addentrano nel reparto elettrodomestici di un negozio molto fornito per visionare i vari modelli disponibili.
Obongo inizia a parlottare con il commesso per raccogliere informazioni e trovarne uno che si avvicini alle loro esigenze; Obonga girella e scruta svogliatamente qua e là.
Del resto è Obongo a fare un maggiore uso della televisione in casa e a lei, quale modello verrà acquistato, interessa relativamente poco.
Obongo vuole comunque condividere la scelta e, una volta selezionati pochi modelli, ne illustra i pro e i contro alla moglie, la quale fatica a trattenere gli sbadigli mentre ascolta distratta di pixel, canali e prese SCART.
Sta per indicarne uno a casaccio, fingendo di avere scelto con cura, quando avviene il miracolo.
Obonga punta lo sguardo verso l’angolo della parete dove sono schierate le TV, precisamente nella terza fila, dietro i modelli nuovi e a quelli dell’anno prima, dove riposa lui, un apparecchio di molte generazioni prima, chiaramente fuori produzione e probabilmente dimenticato lì da un commesso distratto.
Come rapita da una sensazione forte, sente che deve seguire il richiamo, la strada verso la luce.
Obongo che ha già indicato al commesso il televisore che vorrebbe comprare, si sente tirare per un braccio ed in un attimo viene trascinato di fronte al modello capace di sprigionare una simile prodigiosa aura.
“Guarda! L’ho trovato, guarda! E’ bellissimo!”
Obongo sulle prime pensa di trovarsi di fronte ad uno sgabello di plastica arancione, poi realizza che si tratta di un televisore dalle buffe fattezze, probabilmente prodotto vent’anni addietro.
Obonga osserva il piccolo cubo colorato con istinto materno.
Il piccolo cubo colorato osserva Obonga con una timida speranza nei transistor.
“Voglio quello, perché è qui da solo e nessuno lo vuole”.
Obongo, sulle prime spiazzato dal poco lapalissiano ragionamento, si ricompone ed obietta pacatamente: “ci sarà una ragione se è qui in un angolo buio, pieno di polvere e nessuno lo vuole… Non trovi?”
“Precisamente ed è per quello che lo voglio comprare, diamogli una casa: lo chiameremo Calimero”.
Il malandato cubo colorato fu quindi inaspettatamente venduto (operazione che valse la promozione a vicedirettore di sede all’incredulo commesso distratto).





lunedì 25 agosto 2014

La strada verso il cuore di una donna

Obongo ed Obassa tornano da scuola.
La spensieratezza dei diciott’anni e lo splendore di una meravigliosa giornata primaverile fanno da cornice a questa storia, in cui vedremo quanto sia importante, fin da ragazzi, imparare a superare le difficoltà sulla strada che porta al cuore di una donna.

I due amici abitano a poca distanza uno dall’altro ed una volta scesi dall’autobus, affrontano come ogni giorno la breve camminata per tornare a casa.
Il tragitto è particolarmente interessante poiché in quella strada vivono le sorelle Gnoccobonga, due bellissime ragazze che hanno fatto innamorare tutto il quartiere, inclusi i nostri due giovani eroi.
Quella parte del percorso, prima di rincasare, è la preferita dei due, che fantasticano sul riuscire a scorgere una o addirittura entrambe le Gnoccobonga nel giardino di casa loro.
Dall’imboccatura della strada non parlano d’altro, facendo volare il pensiero verso il possibile incontro e colorandolo delle svolte più o meno plausibili che potrebbe prendere: “magari stanno lavando la macchina in bikini, perché c’è caldo”, “e se arrivasse una folata di maestrale e gli si alza la gonna?”, “Poi magari passa una gazza ladra che gli ruba le mutande”, “forse una inciampa, sbatte la testa e s’innamora di me”, “forse si baciano”.
In realtà i due le Gnoccobonga le hanno scorte forse tre volte per una durata complessiva dei fugaci incontri di non più di dieci secondi, ma tant’è: un po’ il mito delle bellissime sorelle, un po’ il mix di fantasie ormonali unite all’euforia di avere terminato la giornata scolastica, e così ogni giorno l’argomento di discussione è sempre lo stesso, condito da commenti sempre più variopinti ed alienati dalla realtà.

Come di consueto, i due rallentano come gabbiani in planata verso la preda, per far perdurare il transito di fronte al cancello delle Gnoccabonga il più a lungo possibile.
Niente.
Non è giornata di pesca.
Obassa allora riparte sconsolato a passo più spedito verso casa, mentre Obongo rimane qualche metro più indietro, accortosi di avere una scarpa slacciata.
Improvvisamente, come levitando su un arcobaleno coperto di petali di rosa, una delle Gnoccabonga fuoriesce da una porticina, facendo la sua comparsa sul giardino di casa, salutando gli animali accorsi per l’evento e irradiando il quartiere con la sua aura a pochi metri dalla faccia di un impietrito Obongo.
Costui, a parziale scusa di quello che sta per succedergli, giura e spergiura che la Gnoccabonga gli abbia sorriso sussurrando “bel giovanotto, lascia che ti aiuti ad allacciare la scarpa con le mie mani vellutate”: si era ovviamente trattato di un’allucinazione dovuta al fatto che nessuna ragazza di quella particolare bellezza gli si era mai avvicinata a meno di dieci metri di distanza e con un solo cancello chiuso nel mezzo.
Obongo completamente ipnotizzato sta sognando la conclusione della frase “puoi baciare la sposa”, quando la stridula voce di Obassa, fermo ad aspettarlo qualche metro più avanti, spezza la magia: “Ti muovi?”
La Gnoccabonga ora lo sta fissando per davvero, incuriosita dal vociare di Obassa.
Obongo assume tutte le colorazioni possibili nella gamma fra il rosso ed il blu, si ricompone in fretta e furia e, facendo finta di niente, scatta con un balzello verso l’impaziente amico.

– BANG – Un colpo sordo rimbomba nella strada.

La ripartenza di Obongo è stata bruscamente interrotta da un inatteso lampione.
Volendo simpatizzare con lo sfortunato Obongo che giace tramortito sull’asfalto, potremmo dire che il lampione lo ha colpito a tradimento; troppo facile prendersela con la fronte di uno impegnato a guardare una Gnoccobonga.
La situazione è la seguente: Obassa si è accasciato a sua volta per terra in preda ad un attacco di riso isterico, guardandosi bene dal soccorrere l’amico ferito, il quale in pochi secondi vede maturare sullo sventurato cranio un bernoccolo grande e colorato come un fico d’india.
Nonostante la violenza dell’urto ne presentasse gli estremi, nessuna denuncia è mai stata inoltrata per tentato abbattimento di beni comunali.
Una volta ripresosi ed aiutato Obassa, che ancora rideva, a darsi un contegno e a rimettersi in piedi, Obongo si dirige verso il lampione, per guardare in faccia il suo aggressore.

Sul bianco del palo, proprio nel punto esatto in cui l’aveva impattato, era stato appiccicato un adesivo.
Era una pubblicità di non si sa bene cosa, raffigurante un bersaglio colorato.
Sembrava essere stato messo lì apposta per il giovane ariete, come un invito, prontamente accolto.
Obongo aveva fatto centro secco, imparando quel giorno che la strada che porta al cuore di una donna è irta di difficoltà, piena di paletti e, nei casi più eclatanti, anche di solidissimi lampioni.


Illustrazione originale di Uros Savić per Obongo 






martedì 19 agosto 2014

Nuovo cinema Obongo

Obongo sta da tempo cercando di concupire il cuore di un’obonga, anche perché la strada verso il cuore della donzella dall’esterno sembra molto soffice ed invitante.
Da buon ventenne in preda ai suoi ormoni è pronto a qualsiasi cosa pur di arrivare al suo obiettivo con un’insistenza inversamente proporzionale alla dignità.
Attraverso un’obonga comune viene a sapere che le due vorrebbero andare al cinema a vedere un certo film e lui prontamente organizza un’uscita a quattro con l’amico sacrificale di turno, per l’occasione il buon Obongioni.
Obongioni ovviamente accetta, anche lui abbagliato dalla prospettiva di passare la serata in compagnia di due belle obonghe, e chiede: “Cosa andiamo a vedere di bello?”
Obongo in realtà non ne ha la benché minima idea in quanto, rapito dall’entusiasmo per l’incombente occasione, non ha prestato attenzione al titolo del film.
-  “Eh, non mi ricordo il titolo… l’astronave aliena, l’alieno interplanetario, una cosa così.”
- “Roba di extra-terrestri, figo! Poi arriva uno, li ammazza tutti e salva la terra?”
- “Boh c’è quell’attore che era anche in quel film con quell’attrice, quella bionda… Cosa… Come si chiama… Cosa Johnson”
- “Tette se ne vedono?”
- “Speriamo”

Trattavasi in realtà di “L’abitudinario alienato da se stesso”, la parte conclusiva della trilogia sull’abbandono delle civiltà rurali del grande maestro russo Valium Soporiferov.
Tre ore e un quarto di pura cinematografia minimalista.
Le obonghe erano espertissime cinefile.
I due amiconi arrivano sapendo ben poco del film, della trilogia e del grande maestro e comunque contenti di portare al cinema due belle ragazze; metti che la serata prenda una svolta interessante e nel frattempo il film sia pure bello?
Il primo segnale di avere azzardato una previsione decisamente ottimistica arriva all’ingresso in sala, dove si contano esattamente quattro spettatori: loro.
Nell’attesa dell’inizio del film, c’è ancora tempo per Obongo ed Obongioni per impressionare le obonghe con qualche brillante battuta del loro repertorio; tipo cosa si ottiene avvicinando un cetriolo a due pomodori e altri squallidi rimandi ad un’inesistente collezione di farfalle.

Il film inizia.
O meglio, le immagini iniziano: i dialoghi seguono con un ritardo di circa venti minuti.
Sempre che la parola “no” pronunciata dall’attrice guardando un campo di grano, possa essere considerata un dialogo. Il campo di grano non reagisce, anche se il regista qualcosa doveva pure aspettarsi dalle spighe dorate poiché la sua telecamera si sofferma per quattro interminabili minuti in attesa di una risposta che non arriverà mai.
I due amici perplessi scambiano arguti commenti:
-  "Ma non parlano?"
- "Forse i protagonisti sono muti…"
- "Ma l’alieno quando arriva?"
- "Boh, magari atterra sul campo di gran…"
- "SHHHH!"
Vengono ripresi come due bambini che hanno appena rubato il barattolo della marmellata da una contrariata obonga, la quale non tollera di essere disturbata proprio mentre si gode la monumentale scena del rubinetto che perde.
Pensando che la posta in gioco sia ancora alta, Obongo si scusa e scarica vigliaccamente la colpa su Obongioni, aggiungendo un commento piccato in direzione dell’amico “dai… ma non hai un po’ di sensibilità? Il rubinetto… la goccia… su, un po’ di silenzio… lasciami seguire.”

Altri scampoli di altissimo cinema si susseguono e i due amici, pezzo dopo pezzo, sentono sgretolarsi la loro resistenza: l’uomo che cammina sulla spiaggia da solo in inverno (con i flashback di quando camminava da solo sulla spiaggia in autunno, in estate e in primavera), il primo piano in bianco e nero della bisnonna morta, le ombre dei monti proiettate sulla valle con il lago secco e via dicendo a colpi di non meno di dieci minuti ad inquadratura, dove Soporiferov, conosciuto nell’ambiente come “l’indugiante”, dà sfogo a tutta la sua creatività.  
Qualche altro commento salace e qualche altro “Shhhh” dopo, i due sono al capolinea ed il colpo di grazia giunge attraverso i rarefatti dialoghi che fanno la loro comparsa all’improvviso.

Il pastore sussurra alla mugnaia: “Vivo di attimi fragranti e di intensità perdute” (*)
Le obonghe si stringono le spalle con le mani e con le facce contratte in una smorfia di emozione empatica, emettono sincrone un “Oooohhhh” di sentita e addolorata partecipazione.
Obongo ed Obongioni si guardano con le mani sulla testa e con le facce contratte in una smorfia prodotta da una risata che si va formando inarrestabile, emettono sincroni un “Oooohhhh” di scherno totale.
La mugnaia replica al pastore: “Sarebbe bello se il ciliegio potesse mangiare le ciliegie” (*)
Le lacrime solcano il viso delle commosse obonghe completamente rapite dall’arte del russo.
Molte lacrime solcano il viso dei due amici che prorompono in una risata liberatoria, dando sfogo a quanto avevano accumulato nelle ore precedenti, in preda a vere e proprie convulsioni che perdurano per tutti e quindici i minuti seguenti, nei quali purtroppo si perdono la scena del gatto grigio che dorme.

Obongo ed Obongioni proseguirono la serata da soli, raccontandosi divertenti battutine su cetrioli e pomodori; le due obonghe decisero che d’ora in poi a vedere Soporiferov ci sarebbero andate da sole.
Soporiferov fu soddisfatto dei sorprendenti incassi di “L’abitudinario alienato da se stesso” che aveva guadagnato al botteghino il doppio di tutti i suoi precedenti film.

(*) Una sola di queste due citazioni è vera ed è tratta dal film che ha ispirato questa storia.

Illustrazione originale di Uros Savić per Obongo 

domenica 17 agosto 2014

Fenotipi ferragostani

Data cruciale nel calendario degli italiani, arriva puntuale il Ferragosto, giorno in cui tutti, ma proprio tutti si presentano in spiaggia per una giornata di ferie al sole.
Ecco una carrellata delle principali tipologie di personaggi in cui ci si può imbattere sui litorali dello stivale.

La famiglia bucolica
Si presentano in spiaggia come una vera e propria armata alla guerra, munita di qualsiasi oggetto utensile, dalla chiave inglese del dodici al parastinchi da rugby.
La famiglia bucolica si sposta solo una volta all’anno, senza alcuna eccezione.
Proviene da un paese neanche tanto lontano dalla spiaggia prescelta, ma la poca attitudine alla trasferta rende la giornata un vero e proprio evento.
Si registra il singolare caso di Rocca Frafrugna borgo di un centinaio di anime, popolato principalmente da due grandi famiglie che si danno il turno per non lasciare il paese interamente deserto: negli anni pari una delle due va in massa al mare a Ferragosto e l’altra alla fiera campionaria della città più vicina, negli anni dispari il contrario.
La famiglia bucolica si dispone su un’area pari a due campi da tennis, talvolta recintata per l’occasione sin dalle sei del mattino, orario d’arrivo in carovana di auto e furgoni vari, pianta non meno di 45 ombrelloni e porta da mangiare quantità di cibo sufficienti a sfamare per un mese tutta la spiaggia.
Si suggerisce al passante occasionale di tenersi a distanza nel fatidico momento dell’apertura del contenitore del pranzo: un bauletto capace di contenere dieci chili di vivande in cui nonna Obonga, con l’aiuto del maniscalco del paese, ha stipato quattro quintali del suo tipico piatto estivo, gli involtini di cinghiale fritto ripieni di maiale.

La mandria di elefanti
Si trovano in piccoli gruppi ma non è impossibile osservarli anche da soli.
Trattasi di esemplari di uomini o donne discendenti di una razza caucasica incrociatasi ere fa con il mammut; rassomigliano ad una pila informe di ciambelle di grassi idrogenati sovrapposte una all’altra.
Indossano speciali costumi ricavati dello stesso materiale usato per le vele dei catamarani da regata e passano la giornata immobili sotto ampissimi ombrelloni, largamente adagiati su sedie rinforzate al titanio.
Il come vengano posizionati in spiaggia resta ad oggi un mistero assoluto per gli scienziati, che li paragonano alle pietre dell’isola di Pasqua.
Fanno raramente il bagno per non incorrere in problemi con la giustizia oltre che per evidenti problemi logistici nei casi in cui la spiaggia non presenti un considerevole declivio fino al bagnasciuga.
L’anno scorso Obonga Blobbi è stata fermata per essere uscita dall’acqua con due astici dorati dalla coda sparuta, una specie protetta, incastrati tra le pieghe del grasso sotto le ascelle.
Gli astici sono stati liberati dopo interminabili sofferenze quando uno dei guardiacoste ha sventolato un enorme panino con la porchetta di fronte alla Blobbi la quale ha finalmente alzato le braccia nel tentativo di afferrarlo, offrendo così uno spiraglio sufficiente ad estrarre le bestiole, stremate, ma ancora vive.
La mandria di elefanti è talvolta un sottoinsieme della famiglia bucolica.

Il sirenetto poliedrico
Conosciuto anche come “tronista monoprofilo”, costui è vanità pura condensata nel corpo di un uomo.
Passa perlomeno dieci ore al giorno ad arrostirsi al sole in un micro costumino griffato, il cui design esclusivo elaborato da ingegneri giapponesi e testato in speciali gallerie del vento, estremizza i contenuti virili con effetto moltiplicazione dei pani e soprattutto del pesce.
Depilatissimo e dotato di sopracciglia disegnate con il fotoritocco, il sirenetto raggiunge in pochi giorni colorazioni variabili fra il mogano bruciato ed il nero disperazione, nonostante l’eccessiva quantità di creme e lozioni con le quali si lubrifica il corpo in continuazione, sembrando un’oloturia sgusciata fuori da un bottiglione di olio.
Questa sua estrema attitudine all’abbronzatura rende talvolta poco efficace il crogiuolo di tatuaggi strategici che arredano la sua epidermide come una mappa geografica; dal tribalone sulla spalla, al tribalino sulla caviglia, al pensierino da terza elementare estratto da una canzone stampato in corsivo sulla schiena.
La sua poliedricità deriva dalla capacità di assumere sempre la posizione in cui si reputa più sexy indipendentemente da qualsiasi posizione stia effettivamente assumendo: un po’ come un poliedro regolare che non cambia forma da qualsiasi prospettiva lo si osservi.
Esiste anche nella varietà “sirenetto lasso”, laddove per svariati motivi abbia saltato l’anno in palestra o la dieta ferrea in vista della prova costume, ma indefesso si ostini a mostrarsi in tutta la sua poliedricità prendendo le sembianze di un grosso wurstel bollito con disegnini sopra.
Non ci soffermeremo in questa sede sulla sua controparte femminile, la baldracca salmastra.

L’insofferente
Anche detto PSC (Pustole Sul Culo).
Costui è refrattario al mare e alla spiaggia in quanto tali e non concepisce l’idea di stare seduto anche per pochi istanti sull’asciugamano a prendere un po’ di sole (da cui l’epiteto).
L’insofferente arriva in spiaggia e già non vede l’ora di andarsene, perché diciamocelo, in spiaggia c’è la sabbia che al contrario del cemento, delle piastrelle e del parquet è una superficie insidiosa, piena di buche, sporca di alghe e, quand’anche pulita, fastidiosa poiché si infila e si appiccica ovunque.
In acqua poi ci sono le meduse e fa troppo caldo e se passano due nuvole fa troppo freddo e comunque vada l’acqua è sempre gelida.
I vicini di ombrellone sono tutti una massa di zotici infami che andrebbero sterminati per il bene dell’umanità.
Visto che però in spiaggia dovrà restarci, poiché la moglie/fidanzata/figlia ce l’ha portato, cerca di organizzarsi alla meno peggio per sopravvivere durante la permanenza.
Si attrezza quindi con libri, parole crociate, telefono con connessione ad Internet, pedalò (insofferente sedentario), con biglie, secchiello, formine, palette (insofferente infante), palle, racchettoni, bocce, aquiloni, frisbee (insofferente sportivo) e financo muta da sub, tavola da surf, motoscafo per lo sci d’acqua, moto d’acqua (insofferente estremo).
Il PSC rimpiange a voce alta quei momenti in cui, seduto in ufficio con l’aria condizionata, faceva progetti per le ferie di Ferragosto.



venerdì 15 agosto 2014

L’ispettore Naso e il caso per caso

Il terzo episodio della saga dell'ispettore Naso.
Qui trovate il primo episodio e qui il secondo.

L’ispettore Naso si trovava per caso seduto su una p, a bordo piscina, quando con una t, tutto ebbe inizio.
Vide un tale con un messaggio di aiuto tatuato sul torace; un tipo sospetto.
Lo seguì con gli occhi ma senza guardarlo coi piedi.
Il tipo era un enorme blocco di muscoli duri come la pietra: era certamente un massone.
Naso tenne le distanze, che non si mossero.
Lo osservò da sotto molti alberi ma in particolare da l’ontano.
Il tipo stava aspettando qualcuno mentre controllava l’orologio al quarzo; probabilmente un altro massone, poiché si era spostato sotto la loggia.
“M’armo!” pensò Naso “in caso la situazione si faccia tosta”.
“Gné! Gné! Gné!” lo sbeffeggiò infatti la situazione, confermando i sui timori.
Naso controllò la paruota, ma l’altro massone non si trovava nei paraggi.
Prese allora una schioccia, sperando di scovarlo, ma anche questo tentativo fallì.
Improvvisamente arrivarono altri sette tipi, Naso capì che non mancava più nessuno: erano al complotto.
Un treno passò vicino al fiume; dalla sua postazione Naso osservava gli Otto e occasionalmente qualche Karl-Heinz.
Osservando i polsini delle camicie Naso stabilì che si trattava di gemelli “ecco perché sassomigliano così tanto questi massoni”.
Una mosca saltò all’ispettore e lui la schiacciò: "ciak", era il momento dell’azione.
Disegnò un pizzetto sotto la bocca: il travestimento era perfetto.
Si avvicinò quatto quatto; la tattica migliore per arrivare agli otto.
Lasciò molti anticipi sulle caparre ma nonostante le precauzioni, uno dei gemelli esclamò “percepisco la presenza di un acquario”.
Naso balzò fuori dalla vasca dei pesci gridando al complotto: “fermi tutti, non fate mosse false”.
Uno di loro stava per arroccare con un dado e un tre di coppe, ma si fermò per tempo; tempo riuscì quindi a raggiungerlo per tempo, che riuscì a raggiungerlo per tempo, che riuscì a raggiungerlo...
“Chi ha tempo non aspetti tempo” disse furioso il capo dei massoni, prendendo in ostaggio un piccolo monarca e svignandosela verso il primo piano.
La sua fuga in re minore sulle scale si rivelò composta anche se aveva l’aria di essere improvvisata.
Da sotto il pizzetto posticcio scattò il mento e Naso si lanciò all’inseguimento.
Di giudizio, da sarto e anche nomo: il fuggiasco aveva già guadagnato diversi metri quando si fermò esitante, e sì, tante persone lo stavano osservando.
Dopo poco però si era già ricomposto ed era ripartito, anche se sarebbe stato più logico il contrario.
Nasò gli piombò addosso come un fulmine; il massone rimase scosso come poche volt in vita sua.
Una volta stipulata la polizza, il criminale venne finalmente assicurato alla giustizia.

L’ispettore Naso aveva risolto il caso per caso, proprio mentre scorgeva la a al termine di questa storia.

martedì 5 agosto 2014

Il pollo Ram

Questa è la storia del pollo Ram, discendente di una nobile famiglia della Pollonia.
La storia di un suo trisavolo la si può trovare qui; la leggenda narra che ancora oggi la stia di famiglia sia abitata dal suo Polltergeist.

Il pollo Ram aveva certo una prodigiosa memoria, ma poche altre qualità.
Un tipo pollemico che passava gran parte del suo tempo a bighellonare, a spalmarsi il gel sui capolli e a giocare a pollone con i suoi amici; appassionatissimo di moda aveva una predilezione per le pollo e per i pollover.
Il pollo Ram era un giovanotto assai conteso fra le sue coetanee ma lui, salvo una piccola storia con la polla Strella e numerosi altri flirt, continuava ad essere uno scapollo impenitente. 
Purtroppo Ram non era esattamente scaltro e finiva facilmente per essere raggirato da tipi loschi, come il gallo Scia, un tipo senza scrupoli, che lo coinvolgeva continuamente in serate di poker con altri animali: entro breve il nostro pennuto amico si ritrovò senza il becco di un quattrino.
Disperato e pieno di debiti, si rivolse a tutti i suoi amici ma scoprì che non erano affatto le ali.
Chiese allora un prestito a una ricca prozia, Enza la zoppa. 
Costei, oltre che senza una zampa, era pure notoriamente avara e glielo negò.

- “Sono nei guai Enza, ti prego!”
- “Vai all’inforno!”
- “Ma non hai una coscia-Enza?”

La risposta era evidentemente sotto i suoi occhi, che per la preoccupazione e per l’età che avanzava si erano riempiti di rughe a forma di gambe di umano.
Perseguitato dai suoi creditori, Ram pensò “sono fritto, mi faranno a fettine!” e decise di darsi alla fuga: pollo Nord o Sud? La sua personalità bipollare però non gli consentì di prendere la situazione di petto e decise di andare in giro dove capitava… un pollì… un pollà.
Giunse in Russia, ma dopo un rapido sopralluovo capì di essere un pollo a Rostov, si sentì a disagio e ripartì.
Nei suoi viaggi si imbattè un giorno in un’affascinante polla dagli occhi a mandorle, di nome Honda.

- “Chi chi ri chì?”
- “このブログは美しいです!”
- “Mi spiace non parlo pulcinese.”

In realtà Honda era giapponese e anche polliglotta e spiegò a Ram di essere un’esperta ballerina di poll-dance.
Insegno quindi l’arte al suo nuovo amico ed insieme misero su un fantastico numero, che si concludeva con Ram che atterrava in perfetto equilibrio sulla testa di Honda, come fosse un trespollo.
Un capollavoro di abilità.
Il numero riscosse un successo tale che i due si iscrissero al campionato mondiale di poll-dance arrivando a giocarsi la finale. 
Arrivato il momento di concludere l’esercizio, Ram atterrò sulla testa di Honda, ma venne distratto dal flash di una Pollaroid che lo disturbò; non tenne la posizione e razzolò giù.

Ram si accorse quel giorno di quanto sia difficile restare sulla cresta dell’Honda.


venerdì 1 agosto 2014

Il sogno dello squalo

Durante la sua vita, ogni squalo coltiva un sogno.
Che sia martello o meno, uno squalo cresce con un chiodo fisso; un po’ come un pescespada che abbia fatto un fioretto.
Egli vuole fare l'attore.

Sin dai tempi della squala, ogni squalo ambisce a provare le luci della ribalta ed è pronto a qualsiasi cosa pur di tentare la squalata al successo.
Come Drina la Squala, attrice dalle dubbie squalità, divenuta celebre anche e soprattutto perché scesa a compromessi tali che i bene informati non esitano a definire squalidi.
Tante le storie di quelli che non ce l'hanno fatta o che hanno finito per diventare semplici comparse sul set: lo squalo da spiaggia, lo squalo da giardino, da salotto o lo squal da bagno.
Alcuni sono diventati caricaturisti, specializzandosi a recitare sempre la solita parte come lo squalibrato, lo squalmanato o il tipo squaltro; altri grazie alla loro abilità fisica sono diventati controfigure prestandosi a girare le scena dove l’eroe di turno cade dalle squale, squala una parete rocciosa o viene squaliato da un lanciafiamme.
Curioso il caso degli squali Feriepa, diventati famosi per l’abitudine di presentarsi sul set con grandi uova di cioccolata.
Meno celebri, ma alquanto attivi nel mondo dello spettacqueo, gli squali Sgravifi ai quali da sempre i produttori fanno riferimento per contenere i costi di realizzazione.
Non mancano anche tra gli squali i casi di celebrità finite nei guai con la giustizia: come Pinnella che, dopo avere squalasciato una fortuna al tavolo verdesca, fu sorpreso a barare durante un torneo di Squala Quaranta ed immediatamente squalificato o, peggio ancora, il famosissimo Jack, incarcerato per avere ucciso l'aristrocratico bagnante inglese Sir Physta e da allora ricordato come Jack lo Squaltatore.

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Il giovane Pasqualino ha ottenuto un provino per una parte in un film, ma proprio quel giorno non si sente bene e si lamenta con la mamma.

“Non ce la farò mai… Non posso farcela...”
“Ah! Sei tal e squale a tuo padre! Smettila di lamentarti e togliti quella camicia che è tutta squalcita!”
"Ma non sto bene; mi hanno fissato il provino proprio oggi che ho la branchite!"
"Ecco prendi una Tachipiraña™; fra squalche ora starai meglio."
“Ma speriamo... Sono davvero giù di tonno.”
"Te lo dico fuori dai denti: ti voglio positivo! Ricorda: tu, lo squalo sei!"
"Sì, lo so che sono uno squalo, mamma."
"No idiota: lo Squalo 6, è il film per cui vai a fare il provino."

E così fu che anche il giovane squalo ebbe la sua opportunità di successo, purtroppo rovinandola recitando come un pescecane.