domenica 22 febbraio 2015

Scacchi matti

Se avete frequentato un circolo scacchistico sapete già che i praticanti di questo sport sono una razza un po’ particolare, come recita il loro stesso motto “Gens una sumus” (Siamo una sola famiglia).
Se non proprio psicopatico o schizofrenico nei casi peggiori, lo scacchista è un tipo per definizione originale, spesso in maniera direttamente proporzionale con la sua abilità nel gioco.
Per quelli di voi che invece non hanno un’idea precisa in materia, Obongo Forever si è premurato di compilare questo prontuario.

Il classificato di basso livello.
Per la regola di cui sopra siamo ancora nell’ambito della normalità accettabile.
E’ abbastanza scarso da perdere con quasi tutti i giocatori decenti, ma abbastanza forte da battere quasi tutti quelli che non sanno giocare: suo nipote di 3 anni, il suo amico che confonde i cavalli con i pony, il suo yorkshire e la fidanzatina di turno, che per amore, ha imparato a giocare controvoglia.
Non perde occasione per ricordare, in genere ad un auditorio disinteressato e sfiancato, il suo unico successo in un torneo (chiaramente anch’esso di infimo livello) dove ha vinto con una combinazione a suo dire spettacolare, con tanto di partita commentata mossa per mossa e prolissi dettagli sul fatto che l’avversario sconfitto nel turno decisivo una volta aveva preso il caffè con uno che era lo zio di uno che era amico di uno che aveva visto da lontano il campione del mondo di scacchi.
Il classificato di basso livello non presenta anomalie mentali particolari ma può talvolta abbandonarsi a comportamenti sconvenienti o bizzarri: ha fatto specie il caso di Obongo Stallo che è stato osservato, faccia tra le mani, piangere a dirotto e ripetere ossessivamente per tre giorni di fila “Cavallo mangia pedone! Cavallo mangia pedone!“ impietrito di fronte alla scacchiera, in riferimento alla mossa che aveva clamorosamente mancato e che gli era costata la partita.

Il candidato maestro.
Il livello di alienazione è ancora poco, solo in qualche caso rimarcabile.
Qualche sociopatico di basso livello, l’occasionale cinquantenne che vive con la mamma, il maniaco-depressivo che gioca perché gliel’ha consigliato lo psicologo o il tale che ammorba qualsiasi conversazione con quella che secondo lui dovrebbe essere la formula matematica esatta per calcolare il punteggio ELO.
I candidati maestri sono in assoluto i più frustrati scacchisti che ci siano. Sono tutto sommato normali e rispondono in maniera corretta ai principali stimoli audio-visivi, ma vivono un perenne stato di limbo per via della parola candidato di fronte al titolo di maestro, non ancora conseguito.
Sono quasi sempre ben più forti dei classificati di basso livello e talvolta perfino bravi come alcuni maestri, ma da qualsiasi parte la si guardi, maestri non lo sono: e questo li urta.
Tendono ad essere spocchiosi e arroganti con i giocatori che battono facilmente e sfruttano sapientemente la seconda parte del loro titolo con i non addetti ai lavori, facendosi chiamare comunque “Maestro”.
Per contro sono invidiosissimi e si comportano da lecchini con i maestri veri, pronti a qualsiasi cosa pur di integrarsi, anche solo in una conversazione sul tempo, con quelli che il titolo ce l’hanno per davvero.
Ha fatto scalpore il caso di Obongo Arrocco il quale ha venduto le figlie ad una banda di albanesi in cambio del titolo di maestro, conseguendolo al torneo di Tirana, in cui ha partecipato giocando contro manichini di cartapesta con dipinte sulla testa le facce di scacchisti di fama mondiale.

Il maestro
Qui il livello di alienazione è ben evidente.
Il maestro parla guardando in un punto fisso all’orizzonte e solo di rado fa un cenno con la testa per dire che ha capito. In realtà si tratta di un riflesso motorio non controllato legato al fatto che stava analizzando una posizione complessa e ha trovato la mossa giusta.
I maestri di scacchi si dividono in due categorie: magri, smunti e barbuti o ciccioni, rubicondi e barbuti. Qualsiasi sia il prototipo, il maestro di scacchi non ha tempo di farsi la barba: finirebbe col tagliarsi in maniera seria trovando una mossa buona mentre analizza una posizione radendosi.
L’opzione di interrompere l’analisi anche per pochi secondi durante la giornata, non è per essi viabile.
La rara attitudine alla cura personale è purtroppo un particolare che ricorre spesso e con risultati ben peggiori, nella vita di questi abilissimi scacchisti.
Celeberrimo il caso del Maestro “Maglietta Fortunata”, il cui soprannome è stato guadagnato sul campo partita dopo partita, giorno dopo giorno, torneo dopo torneo.
Il nostro infatti ogni volta che vinceva un incontro non si cambiava la maglietta, ritenuta appunto fortunata.
Per quelli di voi che pensano che durante una partita di svariate ore fermi e a spremersi le meningi non si sudi poi tanto, beh, non è così; si suda (ergo si maleodora) e pure parecchio, per via della tensione nervosa.
Il Maglietta Fortunata, noto anche come lo scacchista il cui talento si sentiva arrivare da lontano, è finito però male. Il maestro Obongo “Alla lettera” Scaccopazzo gli ha sparato all’ultimo turno di un torneo di dieci giorni, in cui il Maglietta Fortunata aveva vinto tutte le partite precedenti e si apprestava a sfidarlo. Poco prima della partita il Maestro “Alla lettera” ha mancato infatti di scorgere l’ironia nella battuta di un collega che commentava: “non si cambierà mai se qualcuno non lo batte… ma è davvero in forma, per batterlo bisognerebbe sparargli”.

Il Grande Maestro
Questa categoria di scacchisti è completamente estraniata dalla realtà.
I grandi maestri non sanno esattamente di essere persone, né di essere una forma di vita, né di esistere in generale.
Si ravvivano solo al contatto con un pezzo o un orologio da scacchi; parlano solo tra di loro usando il gergo tecnico degli scacchi o raccontandosi partite passate, talvolta gongolando o attristendosi a seconda dell’esito. Gli scienziati hanno avanzato di recente una teoria per la quale i grandi maestri una volta raggiunto il titolo, transustanziano verso un livello superiore e tutti i loro sensi mutano, rendendo la realtà una grande scacchiera.
Un grande maestro non vede palazzi, ma torri, non vede animali ma cavalli, per lui le donne sono regine e qualsiasi altro oggetto di qualsiasi altra forma è assimilato a un pedone.
Un qualsiasi pavimento, marciapiede o parquet è comunque fatto di quadrati bianchi e neri in cui le cose si muovono in maniera bizzarra, dritto per dritto, in diagonale, a piccoli passetti o a L.
Un esempio classico di originalità è il grande maestro Obongo Vincispesso, detto “Il Penitente”.
Per avere mancato di mangiare un cavallo, mossa che gli avrebbe garantito il titolo mondiale, il penitente per tenere bene a mente l’errore e non ripeterlo, ora mangia un intero equino macellato appositamente per lui prima di ogni partita importante.

L’appassionato semplice.
Costui è chiaramente ammalato di scacchi quanto tutti gli altri, ma la sua proverbiale scarsezza fa sì che si limiti a restare ai margini del circolo, come semplice osservatore e a declinare gli inviti a giocare.
Macera nella consapevolezza di essere un’eterna pippa e non trova di meglio che usare il suo blog umoristico per canzonare l’intero genere scacchistico.


Nessun commento: