Festa da sballo in un casolare di
campagna.
In un epoca antecedente ai
navigatori satellitari, Obretta e i suoi due amici Obongo ed Obango vanno alla
ricerca del posto seguendo le indicazioni ricevute dagli organizzatori.
Un posto sperduto in pianura, fuori
città: un casolare nel bel mezzo del niente.
Obretta sbaglia strada un paio di
volte ma alla fine giunge a destinazione.
La serata procede, il divertimento
sale insieme al tasso alcolico.
La festa è un successone e quando
si fa tardi i tre amici sono fra gli ultimi a lasciarla: tornando alla macchina,
si accorgono che su di loro incombe ora una fittissima nebbia.
“Non si vede un cavolo” – Obongo
dal posto affianco a quello di Obretta alla guida
“Vai piano, che hai bevuto e non si
vede niente!” – Obango, dal sedile di dietro
“Ma che nebbia e nebbia, che bevuto
e bevuto; è un banchetto da niente e sono perfettamente in grado di guidare
nella nebbia, che poi non è nebbia, è solo un banchetto.” – Obretta ostenta
sicurezza, forte della fiducia acquisita con gli ultimi tre bicchierini di tequila.
Un ruttino malcelato, un sorrisino
verso il casolare dove ha trovato la donna della sua vita sette o otto volte
nel corso della serata e via: mette in moto.
Già dopo pochi minuti è chiaro che
la strada su cui si trovano non è la stessa da cui sono venuti: considerazione
fatta peraltro a tentoni, poiché la medesima strada ed il panorama che la
circonda sono quasi del tutto invisibili.
“Che nebbia, vai piano!”
“Mai vista una roba così… guarda
che nebbione!”
“Ahhh, ma la finite voi due? Ci
vedo benissimo, ecco, ora a sinistra e siamo sulla statale” – Obretta sempre
più sicuro, complici i cinque rum e cola di mezz’ora prima.
A sinistra per la cronaca c’era
l’ingresso di una stalla; Obretta evita di sfondare il cancello per un pelo.
Dalla coltre di nebbia, la testa di
una mucca osserva la scena impassibile.
Dopo una buona mezz’ora la
combriccola ripassa di nuovo di fronte al casolare della festa da cui sta ora
uscendo l’ultimo organizzatore rimasto, il quale spiega di nuovo la strada ai
tre dispersi e augura loro “buona fortuna” con un’espressione a metà fra il
divertito ed il rassegnato.
Dopo un’ora Obretta è costretto a
fermarsi per far vomitare gli altri due e per non investire un piccolo branco
di conigli che zampettavano da una parte all’altra della carreggiata.
I due obiettivi sono entrambi
raggiunti al prezzo di un solo animale colpito di striscio da un potente
rigurgito.
Dopo un numero imprecisato di
chilometri il cartello “Benvenuti nelle Marche” convince i tre giovani veneti
che qualcosa è andato storto. Anche Obretta deve arrendersi all’evidenza e alle
rimostranze degli altri due: al successivo cartello stradale scende a leggere
le indicazioni, altrimenti indecifrabili dall’abitacolo.
Dopo un’occhiata al numero della
statale e alle direzioni per giungere nei paesi limitrofi, Obretta ha tutte le
informazioni di cui ha bisogno e torna in macchina.
Dove lo attende una straordinaria
sorpresa.
Per qualche strana ragione Obongo e
Obango non sono dove li aveva lasciati.
Vicino a lui non c’è più Obongo ma
Obango ed Obongo… Boh chissà dov’è finito: se avesse scambiato il posto con
Obango dovrebbe trovarsi dietro, ma un rapido esame mostra che non si trova lì.
E le sorprese non sono finite: in
macchina non c’è più il volante. E neanche il cambio. Sparito anche il quadro e
con lui il parabrezza.
Obretta è di colpo un pilota senza
cabina di pilotaggio.
Prova a fare “Brum! Brum!” con la
bocca in un tentativo abbastanza infantile di mettere in moto, ma qualcosa
proprio non quadra; la conferma arriva dallo sguardo spaurito di Obango che
dalla sua nuova postazione lo osserva con gli occhi sgranati.
Basta un attimo perché la voce del
redivivo Obongo chiarisca la situazione: “Che cacchio fai?”
Obongo in realtà non si è mai spostato
dal sedile davanti da dove pure lui osserva Obretta sbigottito.
Tutti a questo punto sanno qual è
il motivo per il quale Obretta ha provato a rimettersi alla guida dell’auto
sedendosi nel posto di dietro.
Non si tratta certamente dei
quattro gin and tonic di inizio serata, né tantomeno della vodka col succo
d’arancia o dei quindiciassette assaggini del torneo di grappa.
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