domenica 14 giugno 2015

Una nebbia fittissima

Festa da sballo in un casolare di campagna.
In un epoca antecedente ai navigatori satellitari, Obretta e i suoi due amici Obongo ed Obango vanno alla ricerca del posto seguendo le indicazioni ricevute dagli organizzatori.
Un posto sperduto in pianura, fuori città: un casolare nel bel mezzo del niente.
Obretta sbaglia strada un paio di volte ma alla fine giunge a destinazione.
La serata procede, il divertimento sale insieme al tasso alcolico.
La festa è un successone e quando si fa tardi i tre amici sono fra gli ultimi a lasciarla: tornando alla macchina, si accorgono che su di loro incombe ora una fittissima nebbia.

“Non si vede un cavolo” – Obongo dal posto affianco a quello di Obretta alla guida
“Vai piano, che hai bevuto e non si vede niente!” – Obango, dal sedile di dietro
“Ma che nebbia e nebbia, che bevuto e bevuto; è un banchetto da niente e sono perfettamente in grado di guidare nella nebbia, che poi non è nebbia, è solo un banchetto.” – Obretta ostenta sicurezza, forte della fiducia acquisita con gli ultimi tre bicchierini di tequila.
Un ruttino malcelato, un sorrisino verso il casolare dove ha trovato la donna della sua vita sette o otto volte nel corso della serata e via: mette in moto.
Già dopo pochi minuti è chiaro che la strada su cui si trovano non è la stessa da cui sono venuti: considerazione fatta peraltro a tentoni, poiché la medesima strada ed il panorama che la circonda sono quasi del tutto invisibili.
“Che nebbia, vai piano!”
“Mai vista una roba così… guarda che nebbione!”
“Ahhh, ma la finite voi due? Ci vedo benissimo, ecco, ora a sinistra e siamo sulla statale” – Obretta sempre più sicuro, complici i cinque rum e cola di mezz’ora prima.
A sinistra per la cronaca c’era l’ingresso di una stalla; Obretta evita di sfondare il cancello per un pelo.
Dalla coltre di nebbia, la testa di una mucca osserva la scena impassibile.

Dopo una buona mezz’ora la combriccola ripassa di nuovo di fronte al casolare della festa da cui sta ora uscendo l’ultimo organizzatore rimasto, il quale spiega di nuovo la strada ai tre dispersi e augura loro “buona fortuna” con un’espressione a metà fra il divertito ed il rassegnato.
Dopo un’ora Obretta è costretto a fermarsi per far vomitare gli altri due e per non investire un piccolo branco di conigli che zampettavano da una parte all’altra della carreggiata.
I due obiettivi sono entrambi raggiunti al prezzo di un solo animale colpito di striscio da un potente rigurgito.
Dopo un numero imprecisato di chilometri il cartello “Benvenuti nelle Marche” convince i tre giovani veneti che qualcosa è andato storto. Anche Obretta deve arrendersi all’evidenza e alle rimostranze degli altri due: al successivo cartello stradale scende a leggere le indicazioni, altrimenti indecifrabili dall’abitacolo.

Dopo un’occhiata al numero della statale e alle direzioni per giungere nei paesi limitrofi, Obretta ha tutte le informazioni di cui ha bisogno e torna in macchina.
Dove lo attende una straordinaria sorpresa.
Per qualche strana ragione Obongo e Obango non sono dove li aveva lasciati.
Vicino a lui non c’è più Obongo ma Obango ed Obongo… Boh chissà dov’è finito: se avesse scambiato il posto con Obango dovrebbe trovarsi dietro, ma un rapido esame mostra che non si trova lì.
E le sorprese non sono finite: in macchina non c’è più il volante. E neanche il cambio. Sparito anche il quadro e con lui il parabrezza.
Obretta è di colpo un pilota senza cabina di pilotaggio.
Prova a fare “Brum! Brum!” con la bocca in un tentativo abbastanza infantile di mettere in moto, ma qualcosa proprio non quadra; la conferma arriva dallo sguardo spaurito di Obango che dalla sua nuova postazione lo osserva con gli occhi sgranati.
Basta un attimo perché la voce del redivivo Obongo chiarisca la situazione: “Che cacchio fai?”
Obongo in realtà non si è mai spostato dal sedile davanti da dove pure lui osserva Obretta sbigottito.
Tutti a questo punto sanno qual è il motivo per il quale Obretta ha provato a rimettersi alla guida dell’auto sedendosi nel posto di dietro.

Non si tratta certamente dei quattro gin and tonic di inizio serata, né tantomeno della vodka col succo d’arancia o dei quindiciassette assaggini del torneo di grappa.
“Ragazzi, mi sa che avete ragione voi: questa nebbia è davvero fittissima”.




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