sabato 6 giugno 2015

Conserveranza

Obonga ha un cuore grande.
Capace di un amore che abbraccia le persone a lei care come un manto avvolgente e rassicurante.
Talmente grande questo cuore, che nel rassicurante abbraccio spesso trovano posto anche cose inanimate, oltre a familiari ed amici.
Per farla breve, Obonga tende ad affezionarsi un po’ a tutto, e a causa di questo nobile sentimento, trova difficile separarsi dalle cose rotte o dismesse quando arriva il momento.

Così piccolo, così solo.
Obongo tollera di buon grado questa propensione della moglie a conservare rottami di ogni tipo a patto che non venga messo in discussione lo spazio vitale riservato agli umani all’interno della casa.
Arriva un giorno in cui, sentendosi minacciato da una famiglia di buste di plastica che per qualche oscura ragione lo osservano da dietro il mobile della camera da letto, Obongo propone di fare un po’ di pulizia.
È il momento di liberarsi di una quantità di cianfrusaglie, come ad esempio vecchi tappi di bottiglia gelosamente conservati poiché ricordavano emozioni uniche e irripetibili quali “la volta che abbiamo guardato un film”, “la volta in cui non trovavamo il cavatappi” o più semplicemente “la volta che abbiamo stappato la birra”.
Obonga si è preparata spiritualmente all'evento; lascia andare i tappi baciandoli sulla fronte uno per uno, negozia il salvataggio di alcune forcine per capelli regalatele dalla cugina di un’amica di un conoscente e si gira dall'altra parte per non dover sopportare lo strazio di vedere Obongo che butta via un copri cuscino con sopra quattro sole macchie indelebili.
Ma la minaccia sono le buste: Obongo ha la netta sensazione che si moltiplichino nottetempo e la loro presenza in camera da letto (In camera da letto? Buste di plastica?) non lascia presagire niente di buono.
Vengono vagliate, una per una.
“Butto?”
“No! Sei pazzo, questa è grande, serve sempre.”
“Questa? Butto?”
“No! Mi serve per metterci le scarpe.”
E così via: “Questa è bella”, “Questa è perfetta per la spesa”, “Questa mi ricorda un’altra busta”.
Lo sfoltimento si sta rivelando complesso, quando da dentro una delle buste sbuca fuori una microscopica macchia di colore rosa che svolazza leggera fino ad adagiarsi sul pavimento.
Trattasi di un sacchettino di plastica, servito in passato a contenere non si sa bene cosa, viste le dimensioni striminzite.
“Senti questo lo butto, non provarci neanche. Non serve a niente”.

Obonga si intristisce. Raccoglie il pezzetto di plastica da terra. 
Lo sorregge come fosse un gattino morto.
Guarda Obongo con una lacrimuccia nell'occhio.
“Ma povero… Guardalo… Così piccolo… Così solo…”

Ursula e Olaf.
Obongo girella in cucina alla ricerca di una cipolla per il sugo e si imbatte in lei: Ursula.
In realtà si tratta proprio di un ortaggio, ma visto il rigoglioso ciuffo verde sbucatole sulla testa e per le ragioni di cui sopra, le regole della casa hanno fatto sì che si meritasse un battesimo.
Risalire al colpevole della presenza di una cipolla umanoide in cucina non richiede una lunga investigazione; Obonga ammette rapidamente le sue responsabilità.
Obongo sa che buttarla via non è un’opzione praticabile; è abbastanza chiaro che in un paio di settimane Ursula inizierà a camminare e a dire “mamma”. Se è sopravvissuto il sacchettino di plastica rosa, dalla capienza inesistente e dimenticato nei recessi di altri sacchetti più grandi, lei non ha niente da temere.

“Ok non la butto, non ci faccio il sugo.”
“Grazie amore, Ursula ti ringrazia.”
“Ma perché non scendi giù e la pianti in giardino?”
“No, non penso che sia una buona idea.”
“Perché no?”
“Ecco vedi, non vorrei che poi… Non so come dirtelo…”
“Non vorresti cosa?”
“Non vorrei che poi Olaf si sentisse solo.”

Al piano inferiore del portavivande dove vegeta (è stata dimenticata?) Ursula, in un sacchetto di carta vegeta (è stato dimenticato?) Olaf, una pezzo di zenzero ormai abbondantemente germogliato.
Obongo ripone i due vecchi amici ai rispettivi piani, chiedendosi se anche muschi, muffe e licheni, alla loro comparsa nella sua casa saranno destinati a un battesimo oppure a un funerale.


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