Obonga ha un cuore grande.
Capace di un amore che abbraccia le
persone a lei care come un manto avvolgente e rassicurante.
Talmente grande questo cuore, che
nel rassicurante abbraccio spesso trovano posto anche cose inanimate, oltre a
familiari ed amici.
Per farla breve, Obonga tende ad
affezionarsi un po’ a tutto, e a causa di questo nobile sentimento, trova
difficile separarsi dalle cose rotte o dismesse quando arriva il momento.
Così piccolo, così solo.
Obongo tollera di buon grado questa
propensione della moglie a conservare rottami di ogni tipo a patto che non
venga messo in discussione lo spazio vitale riservato agli umani all’interno
della casa.
Arriva un giorno in cui, sentendosi
minacciato da una famiglia di buste di plastica che per qualche oscura ragione
lo osservano da dietro il mobile della camera da letto, Obongo propone di fare
un po’ di pulizia.
È il momento di
liberarsi di una quantità di cianfrusaglie, come ad esempio vecchi tappi di
bottiglia gelosamente conservati poiché ricordavano emozioni uniche e
irripetibili quali “la volta che abbiamo guardato un film”, “la volta in cui
non trovavamo il cavatappi” o più semplicemente “la volta che abbiamo stappato
la birra”.
Obonga si è preparata
spiritualmente all'evento; lascia andare i tappi baciandoli sulla fronte uno
per uno, negozia il salvataggio di alcune forcine per capelli regalatele dalla
cugina di un’amica di un conoscente e si gira dall'altra parte per non dover
sopportare lo strazio di vedere Obongo che butta via un copri cuscino con sopra quattro
sole macchie indelebili.
Ma la minaccia sono le buste:
Obongo ha la netta sensazione che si moltiplichino nottetempo e la loro
presenza in camera da letto (In camera da letto? Buste di plastica?) non lascia
presagire niente di buono.
Vengono vagliate, una per una.
“Butto?”
“No! Sei pazzo, questa è grande,
serve sempre.”
“Questa? Butto?”
“No! Mi serve per metterci le
scarpe.”
E così via: “Questa è bella”,
“Questa è perfetta per la spesa”, “Questa mi ricorda un’altra busta”.
Lo sfoltimento si sta rivelando
complesso, quando da dentro una delle buste sbuca fuori una microscopica
macchia di colore rosa che svolazza leggera fino ad adagiarsi sul pavimento.
Trattasi di un sacchettino di plastica, servito in
passato a contenere non si sa bene cosa, viste le dimensioni striminzite.
“Senti questo lo butto, non
provarci neanche. Non serve a niente”.
Obonga si intristisce. Raccoglie il
pezzetto di plastica da terra.
Lo sorregge come fosse un gattino morto.
Guarda Obongo con una lacrimuccia
nell'occhio.
“Ma povero… Guardalo… Così piccolo…
Così solo…”
Ursula e Olaf.
Obongo girella in cucina alla
ricerca di una cipolla per il sugo e si imbatte in lei: Ursula.
In realtà si tratta proprio di un
ortaggio, ma visto il rigoglioso ciuffo verde sbucatole sulla testa e per le
ragioni di cui sopra, le regole della casa hanno fatto sì che si meritasse un
battesimo.
Risalire al colpevole della
presenza di una cipolla umanoide in cucina non richiede una lunga investigazione;
Obonga ammette rapidamente le sue responsabilità.
Obongo sa che buttarla via non è
un’opzione praticabile; è abbastanza chiaro che in un paio di settimane Ursula
inizierà a camminare e a dire “mamma”. Se è sopravvissuto il sacchettino di
plastica rosa, dalla capienza inesistente e dimenticato nei recessi di altri
sacchetti più grandi, lei non ha niente da temere.
“Ok non la
butto, non ci faccio il sugo.”
“Grazie amore, Ursula ti ringrazia.”
“Ma perché non scendi giù e la
pianti in giardino?”
“No, non penso che sia una buona
idea.”
“Perché no?”
“Ecco vedi, non vorrei che poi… Non
so come dirtelo…”
“Non vorresti cosa?”
“Non vorrei che poi Olaf si sentisse
solo.”
Al piano inferiore del portavivande
dove vegeta (è stata dimenticata?) Ursula, in un sacchetto di carta vegeta (è
stato dimenticato?) Olaf, una pezzo di zenzero ormai abbondantemente
germogliato.
Obongo ripone i due vecchi amici ai
rispettivi piani, chiedendosi se anche muschi, muffe e licheni, alla loro
comparsa nella sua casa saranno destinati a un battesimo oppure a un funerale.
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