venerdì 24 aprile 2015

Il crimine perfetto

Si muove con circospezione.
Mesi di preparazione: non può permettersi errori.
Non come l’ultima volta che è stato quasi scoperto.
Questa volta deve andare tutto liscio; deve farla franca.
Un’occhiata furtiva al corridoio e poi fa scorrere lo sguardo in tutte le direzioni.
Tende l’orecchio, per captare presenze inattese.
Sa che ha poco tempo.
L’ascensore sta per arrivare, l’ha chiamato lui stesso.
Ha calcolato i tempi con metodica precisione.
Ha studiato a lungo i movimenti di tutti gli abitanti del palazzo per essere sicuro di avere la strada spianata: colpire al piano terra e poi via fino alla salvezza, il dodicesimo piano.
Può farcela, deve farcela.
Ha interpolato i dati sulle abitudini di tutti gli inquilini; ha dalla sua il 99,43% delle possibilità di non incontrare nessuno.
Nessun’altra fascia oraria gli garantisce un margine di sicurezza così ampio.
Controlla l’orologio; ancora pochi secondi.
Il rumore sarà impercettibile.
Una frazione di decibel, un piccolo tonfo ovattato che si perderà nell’aria.
L’ascensore sarà la via di fuga; eccolo sta arrivando.
Respira profondamente, cerca di controllare il battito; è pronto.
Ora!

PFUUFFF

Il colpo è stato preciso e micidiale.
Passano pochi istanti ed ecco l’ascensore: si aprono le porte.
Nessuno in vista, il crimine perfetto...

“Buongiorno signor Obonghi! Mi dà un passaggio?”
“ARGH!”
“Le ho fatto paura?
“No, ecco, Io... Eh... Buon..”
“Ha perso la lingua stamattina? Allora mi dà un passaggio in ascensore?”
“Bu... bu... buongiorno signorina Obonghessa... Non l’ho proprio sentita arrivare... ma prego, vada su lei io faccio le scale che ho bisogno di fare un po’ di moto...”
“Su venga, non faccia lo sciocchino, sono dodici piani!”
“Io... No... Scale... Moto... Claustro... Fobia...”
“Venga, che con questo caldo, le va su la pressione.”
“Dice?”
“Eh, dico sì!”

Si è materializzata dal niente la signorina Obonghessa, la sua vicina di casa.
Obonghi entra rassegnato: le porte dell’ascensore si chiudono dietro di lui e ormai è solo questione di istanti, o meglio di respiri.
La speranza che la terrificante puzzona a sfiato che ha mollato restasse al piano terra è ormai vana e lo sta seguendo come un’ombra; con la differenza che le ombre non parlano e questo fetore assurdo nell’angusto spazio sta urlando nelle orecchie della Obonghessa il nome del responsabile di tanto abominio olfattivo.
Scende un silenzio di tomba; lei non parla per trattenere il fiato.
Il dodicesimo piano sembra sulla Luna, tanto è l’effetto del tanfo misto al calore all’interno della cabina; lo smacco finale è il balzo da saltatrice in lungo con cui la Obonghessa si lancia tra le porte in apertura sbattendo entrambi i gomiti sulle ante. Atterrata sul pianerottolo, in un’area decontaminata, emette un curioso risucchio nel tentativo di inalare più aria possibile mentre si accascia su una parete e a tentoni prosegue rapida verso l’uscio di casa sua.

Il signor Obonghi, novantaduenne vedovo e in pensione scuote la testa un po’ rammaricato, ma per fortuna non è tipo da arrendersi facilmente.
Scoreggiare nell’androne del palazzo è un’arte raffinata che va perfezionata con dedizione e disciplina.

“Stanotte peperonata con i fagioli; da domani ci si torna ad allenare duramente.”




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