mercoledì 28 gennaio 2015

Fidati di me: lezione in tre parti

Obongo è un bravo bambino.
Ubbidiente e di indole tranquilla, non crea problemi a casa e va bene a scuola.
Un giorno però si verifica uno spiacevole episodio.
Lui ed i suoi amichetti sono andati a giocare a calcio in un cortile stretto tra dei palazzi finendo col rompere un vetro con una pallonata.
Mamma Obonga si incarica di impartire la lezione del caso.
MO – Perché sei andato a giocare proprio lì? Lo sai che non voglio.
O – Gli altri volevano andare...
MO – E il tuo parere non conta? E quello che ti dico io non conta?
O – Sì, ma Malobongo ha convinto tutti gli altri e io volevo giocare con loro…
MO – Non devi avere paura di far valere la tua posizione! Soprattutto se è giusta, perché te l’ho spiegata io!
O – Ok, mamma. Mi dispiace, mamma.
MO – E poi quel disgraziato di Malobongo è lui che ha tirato la pallonata, perché non si è fatto avanti?
O – Eh non lo so… 
MO – E tu, perché non l’hai detto che non c’entravi niente? Mica l’hai rotto tu quel vetro!
O – Ma mamma, non si fa la spia…
MO – E no figlio mio, questa fesseria è l’anticamera dell’omertà. Tu non c’entravi niente e lui doveva prendersi la responsabilità! Ora sto vetro lo dobbiamo pagare anche noi, ti sembra giusto?
O – No, mamma. Non è giusto.
MO – Uno, ti devi fidare di quello che ti dico; due, difendi la tua posizione con forza; tre, se proprio non ne esci, spieghi a questo qualcuno che tua madre ne sa di più di lui e che può andare a farsi benedire. Voglio che tu faccia tesoro di queste tre lezioni per la prossima volta che avrai a che fare con qualcuno che sta sbagliando. Intesi?
O – D’accordo mamma. Ora posso andare a letto? Domani c’è la consegna dei temi; i più belli verranno letti in classe.
MO – Ok, buona notte.
O – Buona notte mamma.

Il giorno dopo a scuola la maestra consegna i temi.
M – Obongo, vieni qui alla cattedra, leggiamo il tuo tema che mi è piaciuto molto.
O – Eccomi. [Si avvia alla cattedra un po’ emozionato]
M – Ah, prima di leggerlo, volevo chiederti una cosa.
O – Sì maestra?
M – Cosa vuol dire questa parola che hai scritto in questa frase: “alloriare”?
O – “La mamma dice al figlio: non mi devi alloriare”?
M – Sì Obongo, puoi spiegarmi cosa intendi?
O – Maestra, “alloriare” vuol dire insistere molto su qualcosa fino a dare fastidio a qualcuno. (*)
M – No Obongo, in realtà non vuol dire niente. Il tuo tema è ben scritto, però questa parola non esiste.
O – [Sentendo l’eco della lezione del giorno prima, punto numero uno: “ti devi fidare di quello che ti dico”] Sì signora maestra, esiste. Ne sono certo.
M – Vuoi dirmi che sto sbagliando?
O – [“… dico, ico, ico…”] Mi sa di sì, signora maestra, mi scusi ma io sono sicuro: “alloriare” esiste.
M – Bene, allora eccoti il dizionario; cercala.
[Ovviamente sul dizionario dopo “allorché” viene subito “alloritmia” senza nessuna traccia di “alloriare”]
O – Ma… non c’è!?
M – Quindi abbiamo appurato che “alloriare” non esiste.
O – [Altra eco materna, punto numero due: “difendi le tue posizioni con forza, orza, orza…”] Questo dizionario è sbagliato. “Alloriare” esiste! Esiste! Io lo so!
M – Obongo, non ti pare di esagerare?
O – [con l’occhio un po’ spiritato] E’ un dizionario vecchio, non è aggiornato! Cerchiamo su un altro!
M – Obongo, ora calmati.
O – [“… forza, orza, orza…”] Non è che ha strappato una pagina del dizionario mentre non guardavo? Lo sta facendo per avere ragione a tutti i costi? Io sono sicuro che…
M – Obongo! Se dici un’altra parola invece che darti otto ti mando a posto, ti metto due e ti faccio una nota.
O – …
M – Bene, ora che abbiamo riguadagnato la calma, vuoi spiegarmi dove hai sentito questa parola “alloriare”?
[Terza e conclusiva eco: “tua madre ne sa di più e lei può andare a farsi benedire, ire, ire…”]

Ai seguenti colloqui con i genitori, Mamma Obonga ebbe modo di appurare che il piccolo Obongo le tre parti della lezione le aveva imparate fin troppo bene, soprattutto la terza.
Le toccò quindi profondersi in dettagliate scuse con la maestra spiegando che no, non ne sapeva più di lei, convenendo una volta per tutte sul fatto che la parola “alloriare” in Italiano non esiste e che, assolutamente, non c’era bisogno di scomodare il parroco.


(*) "Alloriare" è una parola presa in prestito dal dialetto cagliaritano e non è parte della lingua Italiana; sentendola spesso in casa Obongo ha dato per scontato che lo fosse. 
Per la maestra ligure, giustamente, non aveva alcun senso.

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