sabato 4 ottobre 2014

Un anno esatto

Obongo si trova a Dubai.
Durante la sua permanenza fa conoscenza con Amhed Obong, un uomo d’affari locale che gli propone di cenare insieme per poi visitare il più grande centro commerciale del mondo.
Arrivati nella mastodontica struttura, i due scelgono il posto dove andare a mangiare.
Le possibilità sono tante e Obongo, in qualità di ospite, viene invitato a scegliere.
“Se per te va bene, mangerei volentieri un hamburger.”
“Ottima idea, però evitiamo i fast food, ok?”
“Oh sì, intendevo un hamburger buono, di qualità, in un ristorante carino; niente fast food, perfetto!”
“Io non mangio in un fast food da un anno esatto” Amhed Obong si batte le mani sulla pancia soddisfatto “e intendo continuare così: quella roba fa male.”
La precisazione è legittima, pensa Obongo, il quale pensa che se anche Amhed Obong ha visto la luce abbracciando la via del cibo sano, dovrebbe darsi una regolata sulla quantità con cui lo consuma, come si evince osservando le rotondità che fanno capolino da sotto la sua camicia.
I due consultano la mappa interattiva di tutti i ristoranti del centro commerciale quando Amhed Obong riconosce il marchio VibraBurger: “Ah, questo me l’ha consigliato la mia ragazza, mi ha detto che si mangia benissimo; proviamolo!”
Obongo non avendolo mai sentito prima accetta volentieri, nonostante il nome non lasci presagire una particolare qualità della proposta.
I due si avviano verso il locale.
All’arrivo è assolutamente evidente che VibraBurger è una catena di fast food, che si differenzia dalle altre solo per il fatto che una volta ordinato, il cliente viene dotato di un pezzo di plastica che porta con sé al tavolo in attesa che il cibo sia pronto; quando l’aggeggio vibra, il cliente sa che è ora di ritirare il suo panino.
Insomma, non esattamente l’hamburger con tutti i crismi e servito in un ristorante decente di cui si era parlato poco prima.
Magari il posto è un po’ squallido, ma Amhed Obong lo ha proposto comunque per la qualità del cibo?
Magari no.                                                                                                                
Dopo il preambolo da crociato anti fast food, Obongo si aspettava un hamburger fatto con sole carni tracciate da allevamenti selezionati, di quelli dove un addetto sventola con una palma le mucche per tutta la loro vita fino al giorno del macello; un panino con foglie di insalata e pomodori provenienti da colture biologiche gestite da monaci benedettini scalzi, salse fatte da sorridenti nonne con ingredienti presi dall’orto, secondo ricette di otto generazioni fa e via dicendo.
L’hamburger top del posto, il VibraMaster, è per contro una sorta di abominio edibile.
Come sempre accade in questi casi, il panino è la controfigura spastica di quello succulentissimo rappresentato sul pannello pubblicitario; può la floscia ammucchiata di pezzetti cotti essere anche solo lontana parente dello sgargiante panino messo in posa e tirato a lucido nella fotografia?
Gli instancabili amici del marketing di VibraBurger, già inventori della cineseria di plastica che vibra, ci garantiscono che è proprio così.
Lo sciagurato prodotto è servito in una sorta di salvietta di materiale plastico che trattiene l’unto ed almeno sulla bontà del suddetto materiale non sembrano esserci dubbi, in quanto in pochi istanti a contatto con il VibraMaster diventa un tutt’uno con l’olio che il panino trasuda.
L’olio (olio?) che insieme ad altri imprecisati liquidi fuoriesce ad ogni pressione delle dita sul pane è davvero tanto e di origine indecifrabile: potrebbe non essere azzardato pensare che se avete finito quello che normalmente mettete nel motore della vostra auto, una strizzatina di VibraMaster risolverebbe il problema, permettendovi di circolare sereni per i mesi a venire.
Le salse all’interno del melmoso panino hanno sapori forti tanto da coprire quello della carne (carne?) e colori sgargianti e innovativi che sembrano usciti da una fabbrica di pennarelli.
Il tocco finale è fornito dalle patatine fritte per l’occasione ricoperte da un liquido giallo e appiccicaticcio che, stando a quanto riportato sul menu, è formaggio fuso anche se sarebbe interessante rimandare la discussione ad un laboratorio chimico per un secondo parere.
Obongo non è uno che si impressiona, e pur se molto di rado, non ha problemi a concedersi un paninazzo trucido; il VibraMaster e le patatine con tutto il loro denso blob vengono spazzolati via senza troppi problemi.

La serata prosegue ed arriva il momento di congedarsi.
Amhed Obong gentilmente offre un passaggio ad Obongo.
Obongo è un guidatore prudente e da due giorni si trova in balia dei tassisti di Dubai e delle loro follie al volante; accetta quindi di buon grado, pensando che le sue possibilità di arrivare vivo all’hotel siano appena aumentate del 95%.
Arrivati al parcheggio, Amhed Obong attiva l’apertura automatica delle portiere.
TLIN TLIN
Si tratta di un nuovissimo modello di macchina sportiva, che Obongo non aveva mai visto prima.
“Wow, che bella macchina!”
“È l’ultimo modello.”
“Immagino che vada molto veloce.”
“Sì parecchio, ma stai tranquillo, io vado piano. Prima correvo come un matto ma da un anno esatto non supero mai i limiti, soprattutto in città” Amhed Obong si batte nuovamente le mani sulla pancia “ci tengo alla pellaccia.”

Obongo non perde neanche tempo a chiedere se è da un anno esatto che Amhed Obong ha smesso di bere, di fumare, di giocare d’azzardo o di tradire la ragazza, ma declina l’invito con una scusa, lo saluta e sale, pregando, sul primo taxi disponibile.



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