domenica 10 maggio 2015

Tre domande per un’accurata analisi del linguaggio

Un giorno come tanti, Obongo esce di casa con in braccio sua figlia.
Ancora indeciso se andare a destra o a sinistra per una passeggiata in città, viene avvicinato da due ragazzetti adolescenti, evidentemente in cerca di un’informazione.
Uno dei due si ferma e gli chiede: “Scusi, ma... Cinesi? In questa zona?”
Obongo impiega qualche secondo di troppo per rispondere, tutto preso dalla ricerca del predicato verbale nella domanda del ragazzo, quando quello, vedendolo un po’ perplesso, aggiunge qualche altro dettaglio per aiutarlo nella comprensione del messaggio: “Cioè: negozio”.
Per supportare meglio quest’ulteriore informazione, infila fra il 'cioè' e il 'negozio' un gesto con la mano destra, rivolgendo il dorso del polso verso l’alto e roteando le dita tese verso il basso, come per mescolare rapidamente qualcosa.
Nella testa di Obongo gli interrogativi anziché diminuire aumentano ed il ragazzetto un po’ deluso del mutismo inespressivo del poco informato adulto, se ne va via, congedandolo: “Va beh, grazie lo stesso”.

L’episodio lascia Obongo di sale ma offre qualche spunto per un’attenta analisi al rallentatore.
In particolare, tre domande hanno disperatamente bisogno di una risposta.

Partiamo da quella più ovvia: “Cosa stavano cercando i due baldi ragazzini alle dieci del mattino in una strada di un quartiere che potremmo dedurre non conoscessero affatto?”
La prima parte della risposta è ovvia.
Se per qualche istante poteva sembrare che si accontentassero di una manciata di cittadini di origine cinese scelti a casaccio fra quelli presenti nei paraggi, l’informazione aggiuntiva ha ristretto il cerchio ai soli reperibili all'interno di un’attività commerciale.
Un negozio di cosa, però?
Magari la sintassi approssimativa (o slang moderno?) era volutamente depauperata del verbo ed i due hanno cercato di lanciare un messaggio criptato, tipo “il cigno è volato” o “le mele sono nel forno”?
No, in effetti anche i messaggi mafiosi in codice sono provvisti di uno straccio di verbo.
Forse cercavano un bordello? O della droga? O magari dei giapponesi, però contraffatti che sembrassero cinesi? O forse un insegnante di grammatica? Cinese?
Ai posteri l’ardua sentenza: certo che se le finalità erano para-criminali, potevano valutare meglio la scelta di un papà col doppio (triplo?) dei loro anni intento a portare a passeggio la sua bimba come possibile fonte di informazioni.
Per continuare la nostra analisi, mettiamo da parte per un attimo il rebus del negozio e focalizziamoci invece sulla seconda domanda: “che significato ha il gesto del frullino”?
Sì, perchè quello strambo movimento nella testa del ragazzino doveva servire ad illuminare Obongo sul senso della sua richiesta: nella fattispecie rafforzare il sostantivo ‘negozio’ o, in alternativa, la congiunzione ‘cioè’.
Con somma indulgenza, supponiamo che il giovane non soffra di una rara malattia per cui i gangli dell’ipotalamo sono connessi agli arti completamente a cazzo e che gli impulsi emessi dal cervello arrivino a destinazione assecondando la direzione voluta: per capirci, quando vuole fare "ok" congiunge pollice e indice come tutti e non fa invece le corna oppure gli si gira la testa al contrario come un indemoniato.
Alla luce di questa premessa: cosa diavolo frulla quella manina per veicolare il concetto di ‘negozio’?
Obongo, schiavo della sua forma mentis così dannatamente analitica, ha elaborato le seguenti risposte che ritiene però tutte equamente improbabili:
- un negozio di frullini cinesi (rigorosamente in zona);
- un negozio di medicina cinese, che venda qualcosa contro gli spasmi motori della mano (in zona);
- vecchio babbione, ti ho già spiegato tutto nella prima frase, ora mi tocca fornirti dettagli aggiuntivi a gesti, ma non esistendone uno per ‘negozio cinese qualsiasi’, improvviso così.

La terza domanda però è quella che più di tutte logora la mente di Obongo e alla quale probabilmente nessuno potrà mai dare una risposta certa.
Viste le capacità di comunicazione alquanto approssimative del ragazzo che si è avvicinato per chiedere l’informazione, che razza di analfabeta doveva essere quell'altro che è rimasto in disparte?
Insomma: se fra due tizi che hanno bisogno di compiere una qualsiasi azione, uno se ne fa carico, si suppone che dei due sia quello che ha più speranze di riuscirvi.
Il migliore o il meno peggio.
Il migliore del caso in questione si spreme le meningi per assemblare una frase di ben sei parole mancando però di corredarla con un verbo, mettendoci poi una pezza con l’aggiunta di altre due (sempre niente verbo) e condendo il tutto con il misterioso gesto del frullino.

E se le tre domande senza risposta rischierebbero di fargli perdere il sonno, Obongo sa che gli basterà immaginarsi l’altro ragazzetto da solo, senza il suo amico letterato, costretto a chiedere la medesima informazione a qualcuno, per addormentarsi in pace.

“Scusi… Casa… Cina… Qui?”


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