giovedì 6 novembre 2014

Professionista!

Obongo, Obocu e Obongazio si incontrano per trascorrere insieme la serata.
Cena in ristorante bagnata da ottimo vino e conclusa con il dovuto quantitativo di digestivi; è il momento di proseguire verso la discoteca.
Obocu però mostra segni di cedimento; la stanchezza accumulata il giorno prima gli sta presentando il conto e preferirebbe andare a dormire.
Sfortunatamente per lui, i tre hanno fatto equipaggio nella macchina di Obongazio e sono ormai vicinissimi alla discoteca; Obocu fa buon viso a cattivo gioco e prosegue la serata “Se proprio crollo dal sonno, mi sdraio sul sedile di dietro e dormo, poi al ritorno guido io tanto stasera non bevo”.

Si avviano.
Obocu, come previsto, finisce le energie quasi subito e si ritira in buon ordine nella macchina di Obongazio a pisolare, in attesa del ritorno degli altri due.
Obongo ed Obongazio invece se la spassano alla grande, ingollando un drink dopo l’altro, complice la presenza di un vecchio amico al bar che glieli elargisce gratuitamente.
Dopo appena un’oretta i due sono cotti al punto giusto e dopo una lunga serie di mojito si buttano in pista.
La quantità di alcool ingerita è tanta e saltellare come due invasati li aiuta a smaltire almeno il minimo essenziale prima di rimettersi in strada.
L’ora si fa tarda e i due tornano alla macchina per trovare Obocu, il guidatore designato, rannicchiato in posizione fetale sul sedile di dietro, immerso in una sorta di coma: qualche colpetto sulla schiena al quale non fa seguito nessuna reazione motoria, evidenzia subito che il sonnolento amico non ha nessuna intenzione di aprire gli occhi, condizione imprescindibile per chi deve guidare.
Ora, alla luce dei dati raccolti in tanti anni di feste e relative attività alcoliche vissute insieme, i due sanno bene che Obongo al netto di una pinta di birra dà molte meno garanzie di Obongazio dopo una bottiglia di whisky: quest’ultimo non ha altra scelta che mettersi al volante.

“Ce la fai?”
“Sì, sì.”
“Vuoi che guidi io?”
“No, preferisco vivere.”

Obongazio parte e si fa forza pensando che alle quattro del mattino su quel pezzo di strada la polizia non l’ha mai vista. Con suo sommo disappunto, gli bastano pochi chilometri per vederne anche troppa, manco fosse la serata in cui vengono effettuati in un’unica soluzione tutti i controlli stradali dell’intero mese, per far quadrare la media giornaliera. Una dozzina di auto pattuglia scorta Obongazio ed un lungo convoglio di altre vetture incolonnate, verso un punto poco più avanti, dove gli autisti sono attesi dall’inesorabile prova dell’etilometro.

Parcheggiati in attesa del loro turno, vengono raggiunti da un agente munito di pila, per un primo controllo dell’autovettura.
La scena è surreale.
Costui punta la luce dritta in faccia a Obongo ed Obongazio.
I due prima strizzano gli occhi abbagliati, poi ricambiano con un divertito sorriso (o la smorfia alcoolica equivalente).
L’agente dirige allora la luce verso il retro, dove giace Obocu avvolto nel suo sonno imperturbabile, a bocca aperta e con un po’ di bava che dalla bocca cola sul sedile.
“E quello lì? Cosa gli avete fatto?”
I due spiegano che Obocu è solo vittima di troppa attività sportiva e poco sonno, ma che è vivo, sta bene e non è sotto effetto di droghe.
L’agente però non sembra convinto e inizia a dare colpetti con la torcia ad Obocu, il quale questa volta per fortuna reagisce agli stimoli con un sussulto scomposto, tira una bestemmia commista ad uno sbadiglio, per poi effettuare una rotazione del corpo di 180° e ricominciare da dove era stato interrotto.
“È vivo, vede agente, gliel’avevo detto” esclama Obongo assertivo (o l’equivalente alcoolico), mentre Obongazio riesce nella sopraffina impresa di ridere per questa inopportuna osservazione con la sola parte destra del viso, quella rivolta verso il suo amico, e contemporaneamente a contrarre la parte sinistra, quella rivolta verso l’agente, in una smorfia di disapprovazione.
“Lo scusi agente, ha bevuto un po’ troppo.”
Obongo sorride con gli occhi all’agente accostando indice e pollice nel gesto di “solo un pochino, così”.
“Favorite un documento.”
Obongazio porge la patente, Obongo porge la carta di credito.
“Questo non è un documento!”
“Come no, agente? C’è scritto il mio nome sopra, io mi chiamo proprio così: O ß Ø N ¥ G § H Ô” biasciando le lettere in un bizzarro spelling mentre cerca di indicarle con la punta dell’indice.
Vedendo la pazienza dell’agente messa a dura prova, Obongazio intercede mettendo ordine in tutta la storia: il guidatore doveva essere Obocu e Obongo non aveva preso con sé documenti sapendo di non averne bisogno per non portarsi appresso cose inutili in discoteca.
I punti credibilità guadagnati da Obongazio, rivelatosi l’unico in grado di sostenere una conversazione articolata con l’agente, non bastano però a evitargli l’etilometro.
Conscio di quanto ha trangugiato durante tutta la serata si avvia mesto, dà un ultimo sguardo alla macchina convinto di doversene presto separare, sapendo che le possibilità di risultare sotto il limite di 0,50 previsto dalla legge al momento sono pari a quelle di Obongo di distinguere la carta di credito da quella d’identità.
Obongo lo saluta con la manina dall’abitacolo con uno sguardo preoccupato (o l’analogo alcoolico equivalente) mentre ripone in tasca la carta di credito.

Dopo qualche minuto Obongazio è di ritorno.
Si infila in macchina, allaccia la cintura e mette in moto.
“Scappiamo? Guarda che ci inseguono e poi ci arrestano.”
“No, no, tranquillo; tutto a posto.”
“A posto cosa? Hai fatto il record? Hai vinto un peluche?”
“No, tutto a posto… Davvero.”
Obongazio ridacchia tra sé e sé.
Obongo non sta più nella pelle “Quanto hai fatto?”
“0,49.”

La voce della presunta salma dal sedile di dietro rompe il silenzio: “Professionista!”




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