sabato 26 luglio 2014

L'assolo

Imbucarsi ad una festa può avere delle controindicazioni.
Questa è la storia di quando Obongo ed Obongao si sono imbucati alla festa di laurea di un'amica del cugino di secondo grado di un amico d'infanzia, sperimentando in prima persona quanto sopra.

Arrivati sul posto i due capiscono dopo pochi minuti che qualcosa non quadra.
La casa al mare ben tenuta, con piscina e prato inglese di proprietà della facoltosa famiglia nobile della festeggiata stride infatti con le figure che la popolano, le quali, di nobile o alla peggio di borghese o che dir si voglia fighetto non hanno proprio niente.
Trattasi di una gloriosa e variopinta accozzaglia di personaggi uniti dal denominatore comune dell’anticonformismo, palesato in maniera più o meno marcata: intellettualoidi barbuti fuori corso della facoltà di filosofia, vicesegretari di sezione del partito dei giovani amici del Kolkoz, esponenti di centri sociali di varia estrazione, sostenitori di BluePeace, suonatori di ukulele, giocolieri, chiromanti e mangiafuoco.
Obongo e Obongao si presentano in jeans e maglietta, un abbigliamento sufficiente a generare nei più il sospetto di trovarsi di fronte ad esemplari della nuova generazione borghese, così scevri delle essenziali conoscenze storico-politiche e della benché minima sensibilità artistica, unicamente dediti al più spensierato edonismo; ed in effetti i due si sono imbucati alla festa mossi da pensieri che poco hanno a che spartire con i temi esistenziali che si intavolano in quei contesti (uno spaccato della serata ideale di Obongo ed Obongao si può trovare qua). 
Ad ogni buon conto, dopo lo smarrimento iniziale, i due intrusi si buttano nella mischia, notando che anche tra le più assidue frequentatrici del circolo “Pane e Kant” la terza taglia non è poi così inusuale.
Un determinato Obongao punta subito in alto, approcciando dritto per dritto una delle ragazze più carine: una tipa che, purtroppo per lui, è tanto bella quanto colta e loquace.
Il dialogo, o meglio il monologo che ne scaturisce, è un bombardamento a tappeto sugli scottanti temi delle masse oppresse di qualche imprecisata regione dell’Amazzonia centrale, alla quale Obongao tiene testa eroicamente per più di mezz’ora blaterando frasi composte quasi esclusivamente dalle parole “foresta”, “piraña” e “Maracanà”, in tutte le loro possibili combinazioni.
Obongao capitola quando la tipa attacca a parlare del Chapas e lui, ormai stremato e a corto di risorse, risponde che gli piace un sacco ma preferisce i Tacos.
Obongo gioca invece le sue carte con una sedicente lettrice della mano, tra le poche ragazze presenti ad avere un bagaglio culturale abbastanza limitato per non intasare la conversazione con santuari delle balene o complotti giudaico-massonici. Dopo un promettente inizio però, la donzella rivolge le sue attenzioni verso un altro tipo: un ballerino cubano, ricercato politico e fuggito dalla patria in maniera rocambolesca su un cargo di banane, il quale a fine serata finirà per rivelarsi un tabaccaio barese, imbucatosi pure lui, tradito dall’accento spagnolo miseramente affogato nella vodka.
Oltre il suggestivo scenario della villa con piscina, la desolante serata ha come lato positivo una scorta pressoché illimitata di bevande alcoliche dalla quale Obongo ed Obongao attingono a mani piene.
L’ora tarda arriva e quasi senza accorgersene i due si ritrovano un po’ ebbri all’interno della villa insieme ai pochi altri ospiti rimasti; non ricordano come ci sono arrivati ma colgono l’occasione per fare un ultimo sforzo e provare a socializzare.
La serata ha preso una svolta musicale ma non c’è verso per i due di canticchiare qualche verso armonizzando con gli altri: le canzoni sono una selezione di inni bolscevichi o rare composizioni di artisti underground. Obongo tenta anche di imbracciare la chitarra per suonare qualche classico, una di quelle canzoni che tutti, ma proprio tutti hanno cantato almeno una volta ad un falò in spiaggia, ma viene gelato da sguardi incuriositi e richieste del tipo: la sai “Rivoluzione, fango e ortiche” di Leone Fricchiaboni?"
Non se ne esce: il divario è insormontabile, tanto più che ora alcuni ragazzi si sono messi a suonare insieme alla chitarra anche dei bonghi ed altri strumenti etnici mai visti, probabilmente recuperati in un mercatino delle pulci equo e solidale.

Obongo sconsolato solleva le spalle mentre guarda Obongao dall’altra parte della stanza e, complice il mix di alcool e frustrazione, finge per il suo amico di suonare una batteria che non c’è.
Obongao apprezza il gesto, ridacchia e si guarda intorno, alla ricerca di qualcosa da suonare pure lui per restituire il favore.
Obongo compiaciuto della sua trovata si rilassa, gira lo sguardo di nuovo verso i bonghisti, e poi di nuovo verso Obongao, per trovarlo completamente immerso in un poderoso assolo di termosifone.

Nessun commento: